Pensando ad Anna: recensione del film di Tomaso Aramini

Un film radicalmente sperimentale, che recupera la memoria di una parte della storia politica italiana, troppo spesso dimenticata.

Pensando ad Anna di Tomaso Aramini è un curioso esperimento meta-teatrale e meta-cinematografico, che utilizza la tecnica dell’etnografia performativa per raccontare la storia di Pasquale Abatangelo.
Quest’ultimo fece parte, negli anni Settanta, dei NAP, i nuclei armati proletari, cioè un gruppo di rapinatori che teorizzavano – e praticavano – la lotta armata. Arrestato e incarcerato, non si dissociò mai e fu protagonista di spicco delle lotte carcerarie, volte a cambiare le condizioni disumane delle “democratiche” galere italiane, ancora regolate dal codice Rocco – codice di matrice fascista rimasto invariato dal 1930 al 1988.

Pensando ad Anna Cinematographe.it

Pensando ad Anna. Neo-espressionismo straniante

Il film si dipana su più piani. Da un lato ricostruisce i momenti salienti della storia umana e politica di Abatangelo, attraverso attori che si muovono all’interno di una scenografia neo-espressionista, improntata su una sorta di astrazione minimalista dell’esperienza carceraria e della reclusione. Indipendentemente, infatti, dai fatti raccontati, siano essi i momenti di reale prigionia, quelli famigliari o le rapine, lo spettatore ha sempre l’impressione di trovarsi all’interno di uno spazio angusto delimitato da mura, a volte palesi, altre volte invisibili. La macchina da presa, sotto la supervisione del D.O.P. Peter Zeitlinger – collaboratore abituale dell’ultimo Herzog – si muove con una nervosa fluidità fra gli spazi, dando l’impressione di essere parte stessa della storia: uno sguardo testimone e al tempo stesso prigioniero di un universo carcerario, da cui è impossibile fuggire.

Pensando ad Anna Cinematographe.it

Si tratta della messa in scena di uno stato d’animo. Quello della realtà asfissiante e crudele dell’Italia degli anni settanta, caratterizzata da una spietata repressione, che utilizzava sia il manganello che mezzi più subdoli, come la diffusione delle sostanze stupefacenti fra i militanti di quei movimenti di lotta – pacifici e non – che si erano posti, a partire dal decennio precedente, l’obiettivo di rendere il mondo un posto più equo, giusto e libero. Non è un caso che la storia di Pasquale inizi con la sua partecipazione al movimento hippie e l’eroina, per poi configurarsi come un percorso di crescita personale e politica, improntato al comunismo, che attraverso la lotta gli permetterà di rinascere come rivoluzionario. Aramini ci sta introducendo in un mondo surreale, deformato, da incubo – nella tradizione filmica espressionista, appunto – figlio però di una realtà fin troppo cruda, che necessita di un’opposizione radicale.

Pensando ad Anna Cinematographe.it

La seconda, parallela, traiettoria narrativa del film, di conseguenza, lega l’intera vicenda umana di Pasquale, il suo amore per Anna, la sua compagna – in tutte le accezioni della parola – e la sua sempre maggiore consapevolezza politica, al contesto generale della storia italiana del periodo. Il regista estrinseca tale legame e attribuisce uno statuto di verità alle vicende usando un processo di straniamento brechtiano. Fa apparire in scena il vero Abatangelo, intento a fornire indicazioni alla troupe e a interloquire con il regista. É presente anche il giornalista Fulvio Bufi, che intervista, senza accondiscendenza, il protagonista. Questo fa sì che lo spettatore abbia sempre presente il valore collettivo delle vicende dell’uomo, in quanto inserite in un contesto visivo documentario più ampio, fatto di interviste e foto storiche di repertorio, rielaborate con l’intelligenza artificiale, che restituiscono la cornice di lotta sociale italiana del tempo.

Pensando ad Anna: valutazione e conclusione

Insomma Aramini istituisce una dialettica fra l’idea di ricostruzione filmica e quella di documentazione del reale, in maniera tale da destrutturare l’intero processo spettacolare sottostante la creazione di immagini audiovisive dell’odierna mediasfera. Egli porta così a galla un valore etico-estetico dell’immagine docu-finzionale, volto al recupero di una memoria spesso rimossa, in contrasto con l’attuale tendenza che questa ha, cioè quella improntata alla manipolazione e al consumo. Riattiva un valore emotivo, attraverso la presenza del corpo del vero Pasquale, che assiste alla propria vita, così da permettere allo spettatore di uscire dal film, per riflettere sugli effetti che le vicende narrate hanno avuto non solo sulla quotidianità del protagonista ma anche su una parte fondamentale della storia italiana recente. Quella della lotta armata e dell’anelito a un radicale cambiamento esistenziale e sociale, portato avanti da un’intera generazione che ha cercato di trasformare la struttura stessa di questa spietata realtà neoliberista.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3