Per niente al mondo: recensione del film di Ciro D’Emilio
La recensione dell’opera seconda di Ciro D’Emilio, un crime-drama dalla scrittura debole ma con un convincente Guido Caprino nei panni del protagonista. Nei cinema dal 15 settembre 2022.
Statistiche alla mano dicono che in media mille persone all’anno in Italia finiscono in carcere da innocenti per crimini mai commessi. Numeri alla mano spaventosi e drammatici, che sono il risultato di clamorosi errori investigativi e giudiziari, alcuni dei quali passati alla storia della Repubblica nostrana come quelli di Giuseppe Gullotta o Angelo Massaro. Ma indipendente dalla comprovata estraneità ai fatti che ha portato il presunto colpevole all’assoluzione e dal periodo di detenzione scontato, con giorni, mesi e anni trascorsi dietro le sbarre, ai domiciliari e nelle aule di tribunale, la vita della vittima dell’errore di turno ha visto la sua esistenza andare in frantumi, con pesanti ripercussioni in termini psicologi, economici, fisici, lavorativi, familiari e sociali.
La storia al centro di Per niente al mondo è liberamente ispirata a fatti realmente accaduti
Quella raccontata da Ciro D’Emilio nella sua opera seconda dal titolo Per niente al mondo, distribuita nelle sale da Vision Distribution a partire dal 15 settembre 2022, è una storia che potrebbe tranquillamente essere parte di queste statistiche. Non a caso quella al centro del film è liberamente ispirata a fatti realmente accaduti, dove il destino di un uomo per bene subirà conseguenze imprevedibili. Le dinamiche e le modalità che porteranno una persona qualunque come il protagonista della pellicola del regista di Pompei sono infatti comuni oltre lo schermo e nella vita reale a molte vittime di errori giudiziari. Ecco allora che la pellicola di D’Emilio, scritta a quattro mani con il sodale Cosimo Calamini, si fa carico di un tema dal peso specifico piuttosto rilevante, molto sentito e discusso dentro e fuori dai confini italiani con associazioni come Errorigiudiziari.com che se ne occupa da oltre 25 anni.
Un crime-drama che ci catapulta nell’esistenza di uomo che subisce una grande ingiustizia, ma che invece di lottare contro questa finirà per lottare contro se stesso
Gli autori del film attingono da uno o più casi non specificati per cucire i fili del plot di un crime-drama che ci catapulta nell’esistenza di uomo che subisce una grande ingiustizia, ma che invece di lottare contro questa finirà per lottare contro se stesso. Quell’uomo si chiama Bernardo, chef in rampa di lancio con aspirazioni stellate e appassionato di rally, che ha tutto nella vita, compresi il successo, gli amici e il fascino. Quel tutto però un giorno verrà spazzato via da un’intercettazione telefonica, dall’arresto e dalla galera per un crimine mai commesso, per il quale trascorrerà un anno di carcere prima di essere riconosciuto innocente. Ma una volta libero, nonostante l’assoluzione dall’accusa di rapina a mano armata e associazione a delinquere, inizierà un nuovo inferno, quello sociale del quotidiano, alimentato dai pregiudizi da parte dell’opinione pubblica e della gente che gli ha attaccato addosso un’etichetta. Rimasto solo, con la sola figlia al fianco, mentre amici e collaboratori gli hanno voltato le spalle, si troverà di fronte a una dura scelta, che potrebbe per sempre cambiare la sua esistenza: accettare cosa gli è accaduto e intraprendere un nuovo percorso od ostinarsi e tentare di riprendersi tutto ciò che ha perso anche andando contro la legge? Il plot di Per niente al monto ruota e si sviluppa proprio intorno a questa domanda, ma per avere una risposta il pubblico dovrà attendere i minuti finali che precedono la chiusura del sipario.
Ciro D’Emilio dipinge sullo schermo con pennellate cromatiche livide il materializzarsi di un’odissea umana
D’Emilio, al quale sin dai primi cortometraggi sono sempre stati a cuore temi delicati e impegnati, qui non è da meno. Lo stesso impegno che si è riversato anche al cinema con la pluripremiata opera prima Un giorno all’improvviso e nella recente esperienza nella serialità con L’Ora – Inchiostro contro Piombo. Stavolta affronta quello dell’errore giudiziario e dell’ingiusta detenzione, utilizzandolo come punto di partenza di un discorso più ampio che allarga i propri orizzonti narrativi al dopo detenzione per chi ne è stato vittima. Il protagonista, travolto da un’onda anomale di pregiudizi e luoghi comuni, si troverà di fronte a muro da scardinare, con tutto ciò che ne consegue. Ci riuscirà? Alla visione l’ardua sentenza. Ciò al quale assiste lo spettatore è un dramma che muove i suoi passi narrativi attraverso altre sfumature come quelle del crime, del prison-movie e del legal-movie. Tutte queste si mescolano senza soluzione di continuità dopo essere state posizionate sulla tavolozza dei colori a disposizione del regista, alla quale attinge per dipingere sullo schermo con pennellate cromatiche livide il materializzarsi di un’odissea umana.
Il protagonista è interpretato da un efficacissimo, intenso ed emotivamente coinvolto Guido Caprino
Come cornice di questa odissea, il regista campano ha scelto il nord-est Italia, ambientando la storia di Bernardo in un territorio di provincia del Friuli Venezia Giulia, quasi al confine con il Veneto. Luoghi, questi, fermi nel tempo, ordinati e chiusi in se stessi, che bene si sposano drammaturgicamente con il percorso a ostacoli che è chiamato ad affrontare il protagonista, qui interpretato da un efficacissimo, intenso ed emotivamente coinvolto Guido Caprino. La sua performance sofferta e dolorosa nei panni di un uomo “spezzato”, privato di dignità e libertà, messo con le spalle al muro dalla malagiustizia e dalla forma mentis locale (e non solo), è una base importante e solida sulla quale il film ha potuto contare dal primo all’ultimo fotogramma utile (vedi la crisi di panico in cella o il monologo sul padre durante l’ora d’aria), anche quando le defaillance della scrittura diventano crepe profonde nell’edificio narrativo.
La scrittura è il tallone d’Achille di Per niente al mondo
Se tecnicamente la regia fa il suo per accompagnare nel migliore dei modi il racconto, avvalendosi anche di soluzioni visive di buona fattura, sul piano della sceneggiatura si palesano una serie di criticità e di snodi che la mettono in discussione. Alcuni passaggi narrativi infatti risultano forzati o non sviluppati a dovere, con la scelta di ricorrere a una frammentazione non lineare su tre piani temporali (il prima, il durante e il dopo carcerazione) che stravolgendo la narrazione convenzionale al contrario la rendono meccanica e un po’ confusionaria. Sta qui il tallone d’Achille di Per niente al mondo, ossia nella mancanza di lucidità e nell’incapacità dello script di sfruttare l’enorme potenziale intrinseco messo a disposizione dalla storia, dal personaggio che la anima e dall’argomentazione di fondo che muove il tutto.