Petites la vita che vorrei…per te: recensione del film di Julie Lerat-Gersant
Con Petites la vita che vorrei…per te, Julie Lerat-Gersant tira fuori tutto ciò che è stato seppellito e lo rende visibile a chi guarda.
“Ha 16 anni. Al quarto mese di gravidanza”. Inizia così Petites la vita che vorrei…per te, in uscita al cinema dal 26 ottobre 2023 con Satine Film, l’opera prima di Julie Lerat-Gersant che racconta la storia di Camille che, disperata e impaurita, tenta di interrompere la gravidanza con Cytotec e cannabis. “Ho paura”, dice questo Camille a sua madre, mentre quest’ultima la stringe a lei e la chiama piccolina. Petites porta lo spettatore dentro l’ambulanza tra un madre e una figlia, legate insieme in un abbraccio toccante e profondo, poi però si apre e mostra lo strappo. Nonostante Camille e sua madre urlino di voler restare insieme, la ragazza viene assegnata ad una casa famiglia in cui vengono accolte giovani gestanti. Il film di Lerat-Gersant si immerge nella vita di questa giovane donna che ha un solo punto fermo, dare in adozione il bambino che porta in grembo; Petites è una storia di crescita e di formazione, è una scoperta di sé e quindi anche di chi/cosa sta intorno, è una trasformazione del corpo e dell’anima.
Camille e le altre
“Camille, tu sei incinta di quattro mesi!”
Quando Camille (Pili Groyne) arriva nella casa famiglia è arrabbiata, delusa, si sente lontana da tutto ciò che c’è lì dentro, tra quelle mura, pensa addirittura che dentro al suo ventre non ci sia nulla o nulla di vivo (“Ma incinta di cosa? Non c’è niente qui dentro! Niente di vivo! E non mi rovinerà la vita”). Nega, non accetta, ma quando si trova tra quelle ragazze proprio uguali a lei, con la vita completamente cambiata dopo la nascita delle loro creature, inizia a poco a poco a fare pace con la sua condizione. Entrata nella sua nuova stanza, con un top corto che mostra la pancia, i pattini a rotelle in mano, lo smalto sulle unghie smangiate, divoratrice di cioccolata, Camille si mette sotto le coperte, guarda i video con sua madre e non vuole ancora avere a che fare con niente e nessuno. Ha solo un pensiero, fare ricorso e tornare a casa sua, da sua madre, è lei la persona con cui deve stare, l’unica e la sola. La giovane però poi inizia a fare amicizia con Alison (Lucie Charles-Alfred), una ragazza insofferente alle regole, madre della piccola Diana – che soffre di crisi d’asma – che continua a pensare a fare festa, a bere, e sembra interessarsi poco della figlia. La situazione di Alison e quella di tutte le altre ragazze sono uno specchio di ciò che in futuro potrebbe essere la vita di Camille ma lei non vuole questo, è chiaro, essere madre è tutta un’altra cosa. Sono ragazze troppo piccole, spesso immature, che si trovano ad affrontare una responsabilità enorme, quella di una gravidanza, spesso casuale o indesiderata, e poi si aggiungono molte altre conseguenze e domande, tenere o no il bambino, darlo in adozione. Figura fondamentale per Camille è Nadine (Romane Bohringer), l’educatrice che la segue con pazienza, nonostante i tanti momenti di rabbia e di ribellione della ragazza. Petites è un’opera raro sull’essere madre, sulla genitorialità e sulla famiglie, un’opera che riesce a coinvolgere ma senza retorica, arriva dritto senza troppe sovrastrutture.
Camille scopre se stessa, il suo corpo, il suo presente e il suo passato in Petites la vita che vorrei…per te
Julie Lerat-Gersant, una regista di cui si sente la penna e lo sguardo – che porta al cinema la sua esperienza d’osservatrice nei centri francesi di accoglienza per madri adolescenti e i loro neonati –, segue la sua Camille con delicatezza e con uno sguardo quasi documentaristico; non c’è alcun giudizio verso di lei e le altre, c’è solo il desiderio di narrare questa storia, dolorosa e complessa. La protagonista inizia a mettere in dubbio molte cose, vuole sapere, conoscere, è inevitabile per lei riflettere sulla sua nascita, sul comportamento di sua madre – che fin da subito appare una ragazzina tanto quanto sua figlia e la stessa situazione Camille la vive con Alison e la sua piccola Diana -, su cosa significhi amare il proprio bambino.
Camille attende che vengano a trovarla per vivere un po’ della propria “normalità”. Vuole sentire la madre accanto a sé, vicina, invece quando la incontra la donna è impegnata con un fidanzato o a pensare a quando partire per fare il viaggio di ritorno senza traffico. Si aspetta che lei ci sia durante la prima ecografia e quindi il suo volto è quello di una bambina a cui la madre ha fatto una promessa e non l’ha mantenuta, come un’automa, Camille guarda il vuoto, il battito cardiaco è un rumore che le fa male alla testa, i piccoli movimenti che sente dentro la sua pancia sono strani “è come un piccolo alieno”. Vuole rivedere il fidanzato che ambisce ad andare in Olanda e sogna in grande e che lei guarda come fosse il regalo più bello del mondo, sciogliendosi in un tenero e dolce sorriso. Per lei c’è sempre accanto il ragazzo, un personaggio piccolo ma luminoso che non rientra negli stereotipi ma le fa intendere in ogni momento che lui è lì.
La protagonista si sente perse, si sente soffocare, urla, dà in escandescenze, non capisce perché si sente così sola, perché la sua vita debba cambiare così e lì, accanto a lei c’è Nadine, una donna che non è sua madre ma che si comporta da tale, le parla, la rassicura, fa in modo che non si faccia del male.
A poco a poco Camille inizia a porsi delle domande, ad interrogarsi su ciò che le sta capitando dentro e fuori, a ciò che le è capitato in passato, non è più un involucro, una macchina a cui le cose accadono senza che lei possa nulla. Soffocata da una madre al contempo ossessiva e immatura, la protagonista di Petites cerca risposte che diano senso a ciò che sta vivendo. Quel luogo che prima le sembrava una prigione, poi diventa un rifugio, un luogo in cui ritrova la propria identità.
Petites la vita che vorrei…per te: valutazione e conclusione
Petites la vita che vorrei…per te, con una meravigliosa Pili Groyne che incarna la paura, la delicatezza e la voglia di libertà – parola che torna sulla bocca della protagonista -, è un film toccante che porta lo spettatore dentro un piccolo mondo, dentro la piccola vita di una giovane donna consapevole di ciò che vuole. Julie Lerat-Gersant dirige una storia semplice per forma e struttura ma non per contenuto, Camille sa perfettamente che non può e non potrà essere madre ora – non farebbe il bene della creatura, anche perché lei stessa è ancora una bambina -, o almeno non la madre che dovrebbe/vorrebbe essere – si guarda intorno e si accorge di molte cose. La scelta di Camille è matura, consapevole e i mesi raccontati dal film sono un percorso importante dopo il quale lei non sarà più come prima. Se la madre è una donna non cresciuta fino in fondo, la protagonista ha una maturità emotiva e di giudizio senza eguali, lei impara ad amare e, nonostante il dolore, ha inteso molto, non si possono tramandare inciampi di madre in madre. Petites è un viaggio commosso e commovente, è un’analisi di un momento fuori dai cliché e per questo interessante – non bisogna essere madri a tutti i costi, meglio dare il figlio in adozione che creare un infelice. Petites è un’opera importante che parla di molte tematiche urgenti scuotendo la coscienza e mettendo lo spettatore nelle condizioni di riflettere sull’interruzione volontaria di gravidanza, sull’educazione sessuale e sentimentale, sulla maternità e sulla famiglia (è evidentemente disfunzionale quella in cui vivono Camille e anche le altre ragazze), sulla libertà di essere e di fare.
“Quando ero piccola e avevo un dolore, mia madre mi diceva di scavare una buca e seppellirlo”, la regista tira fuori tutto ciò che è stato seppellito e lo rende visibile a chi guarda.