Philadelphia: recensione del film di Jonathan Demme
Philadelphia è tutto ciò che vorremmo esserci gettati alle spalle: lo scherno verso l'omosessualità, le battutine da bar, la paura di stringere le mani a un sieropositivo
Philadelphia è un film del 1993, diretto da Jonathan Demme ed interpretato da Tom Hanks, Denzel Washington, Jason Robards, Mary Steenburgen e Antonio Banderas. Philadelphia è stato insignito di due premi Oscar, per la miglior canzone a Bruce Springsteen, Streets of Philadelphia e per il miglior attore protagonista a Tom Hanks.
La voce di Bruce Spingsteen accompagna lo spettatore, durante i titoli di testa, in un viaggio che porta tra le vie di questa città, con una canzone che è la sua più rappresentativa. Philadelphia comincia dalle strade, da chi le abita. La cinepresa parte dall’alto, dai grattacieli, scendendo tra la gente, mostrando gli ospedali, i vigili del fuoco, attraverso i fiumi, le rive, scivolando nella quotidianità, nella periferia, indugiando tra i suoi simboli e le architetture.
In questa metropoli caleidoscopica, vivono due avvocati, molto diversi. Uno è Andrew Beckett, un giovane legale di successo, pupillo dei soci di uno dei più celebri studi legali della città, Wyant & Wheeler. L’altro è Joseph Miller, un avvocato specializzato in risarcimento danni, che tenta di farsi conoscere, senza troppa fortuna, tramite promozioni televisive e portando avanti piccole cause, spesso fallimentari. Andrew vive la sua vita personale in modo del tutto privato: è omosessuale e sieropositivo e non rivela nulla sul posto di lavoro, temendo ripercussioni. Durante una serata, in cui i soci dello studio affidano ad Andy un’importante causa legale, uno di loro nota una lesione sul suo viso, riconoscendolo come sintomo dell’AIDS.
Tom Hanks è eccezionale nell’incarnare un uomo vessato e privato di ogni diritto
Da quel momento tutto cambia. Nonostante Andy tenti di prodigarsi corpo e anima nel lavoro, la malattia lo debilita visibilmente e i soci dello studio, non disposti ad accettare un omosessuale a lavoro, colpito per giunta dall’AIDS, lo licenziano in tronco, accusandolo di negligenza sul lavoro. Ma Andy, comprendendo quale fosse il vero motivo del suo allontanamento, si rifiuta di accettare questa deplorevole ingiustizia, citando in giudizio i suoi datori di lavoro per licenziamento illecito. In sua difesa accorre l’avvocato Joseph Miller, che si convince ad aiutarlo nonostante la riluttanza iniziale, spingendosi contro i propri pregiudizi e i propri limiti.
Philadelphia si impone come pellicola di denuncia in un momento storico cruciale. Gli anni ’90 sono stati un periodo storico in cui essere sieropositivi significava incorrere in una morte sociale, lavorativa e affettiva. E in quegli anni questa malattia diventò un vero proprio caso mediatico, un tema che scosse le coscienze e che portò, in molti casi, ad atteggiamenti discriminatori soprattutto negli ambienti lavorativi.
Demme decise di parlarne in modo totale, ampio, raggiungendo più pubblico possibile, raccontando una storia personale attraverso il legal movie, strumento che mise, e mette, lo spettatore di fronte al proprio comportamento disdicevole e deleterio nei confronti dei malati di AIDS. La società è stretta all’angolo e viene mostrato ampiamente come essa guardi e tratti i sieropositivi: Demme ci si sofferma con primi piani alle mani, ai gesti, ai volti. Tutto questo crea e sorregge la pellicola: la discriminazione, la paura, lo smarrimento, l’ignoranza.
Philadelphia è un film che trattiene una dura lezione sul significato di giustizia e di discriminazione
Philadelphia è molto più che una pellicola sul riscatto; è un film che afferra una tematica, quale l’omofobia, e la rapporta al suo apice d’ingiustizia, ovvero la discriminazione verso i malati di AIDS. Demme decide di discuterne in proposito, cercando di coinvolgere quanto più pubblico possibile, provando a dare una sferzata all’onda di pregiudizio e di paura che offuscava le menti delle persone. A fare da specchio visivo della morale pubblica è proprio Denzel Washington, che interpreta un avvocato totalmente chiuso e contrario all’omosessualità, che in un primo momento rifiuta categoricamente di lavorare per Andy, ma che saprà andare oltre il proprio pensiero.
Il personaggio di Miller è la chiave per decifrare lo sguardo dello spettatore, e l’atteggiamento del pubblico si muove attraverso di lui; si assiste letteralmente ad una progressione nell’accettare quella diversità. Tom Hanks è eccezionale nell’incarnare un uomo vessato e privato di ogni diritto, si spinge molto al di là del suo corpo, ritraendo e portando sullo schermo una storia di pura sofferenza, fisica ed etica, in cui l’attore si abbandona, e regala un’interpretazione fortissima e fragile. Alcune scene sono ormai fisse nella memoria collettiva, come quando Andy ascolta la voce di Maria Callas che canta l’Andrea Chénier, o altrettante scene durante il processo, in cui Miller e Andy si misurano con un tribunale ostile.
Philadelphia è tutto ciò che vorremmo esserci gettati alle spalle: lo scherno verso l’omosessualità, le battutine da bar, la paura di stringere le mani a un sieropositivo, la solitudine a cui destina la gente, le ingiustizie sul lavoro. Philadelphia è un film commovente in ogni suo fotogramma, un film che trattiene una dura lezione sul significato di giustizia, di paura e di discriminazione, una pellicola che ripudia i preconcetti sull’omosessualità e ne apre un dibattito acceso e sempre attuale che non va assolutamente dato per scontato, ora più che mai.