Venezia 74 – Piazza Vittorio: recensione del film di Abel Ferrara
Piazza Vittorio è il documentario di Abel Ferrara presentato a Venezia 74 sui gravi problemi di integrazione in una delle piazze più importanti di Roma.
Piazza Vittorio non è soltanto un appellativo comune con cui viene chiamata Piazza Vittorio Emanuele II, una delle più celebri piazze di Roma nonché quella più grande per estensione, ma da qualche anno a questa parte è diventato un luogo multietnico e multiculturale, in cui convivono, non senza enormi difficoltà di integrazione, persone provenienti dai più disparati luoghi del mondo, tutte alle prese con la propria quotidiana battaglia.
Un vero e proprio clash culturale, in cui la tradizione commerciale e artistica romana incontra e si scontra ogni giorno con profughi, immigrati, clandestini e mendicanti, tutti in cerca di un’esistenza migliore rispetto a quella che hanno lasciato. Il regista newyorkese Abel Ferrara, da qualche anno trapiantato proprio nel quartiere Esquilino, fotografa con il suo documentario Piazza Vittorio, presentato fuori concorso a Venezia 74, l’attuale situazione del quartiere, dando voce e risalto a tutte le parti coinvolte.
Piazza Vittorio: un viaggio neorealista e grottesco nei problemi di integrazione di Roma
A tre anni dal discusso e aspramente criticato Pasolini, Abel Ferrara sceglie nuovamente Roma, la sua incancellabile tradizione e le sue spiacevoli contraddizioni come ambientazione per il suo nuovo ragionamento cinematografico. Piazza Vittorio si presenta come un’opera povera nei mezzi ma non nelle idee, girata e montata con molta fretta (più di una volta è possibile osservare operatori di ripresa in scena) ma piena dello spirito del cineasta di origini italiane, che si è speso personalmente, diventando un vero e proprio personaggio aggiunto del film. Ferrara mette in scena un viaggio neorealista e a tratti grottesco in una delle zone più in subbuglio di Roma Capitale, in cui tradizioni e culture diverse convivono e collidono in una situazione economica sempre più difficile, generando polemiche, rancore e xenofobia.
Il regista intervista e dialoga con diversi personaggi, manifestando il suo stesso personale disagio da artista straniero in cerca di lavoro a Roma, dando voce a rifugiati, emarginati, clandestini e clochard in fuga dai drammi e dalle difficoltà più disparate, a uomini di spettacolo come Willem Dafoe e Matteo Garrone, anche loro stanziati in zona Piazza Vittorio, ma anche alla parte più diffidente e collerica della popolazione locale, che vede di cattivo occhio l’invasione straniera del quartiere.
Abel Ferrara evita di prendere apertamente posizione, lasciando che a parlare siano i contrasti di idee e di posizioni
Abel Ferrara osserva, imbecca, suggerisce, ma non si espone mai esplicitamente, creando una sorta di piccolo trattato antropologico sulla paura del diverso e dello straniero, e di come essi diventano dei catalizzatori del disagio e della rabbia repressa per differenti problemi. Fra desolanti immagini di barboni sulle panchine della piazza e interviste a immigrati più o meno realizzati, scorrono così su schermo anche inquietanti testimonianze di anziane signore nostalgiche dei tempi passati (che saggiamente Ferrara smitizza con video d’archivio che descrivono una situazione tutt’altro che rosea) e un grottesco spot elettorale della sezione locale di Casa Pound locale, a cui il regista concede un tempo per molti inopportuno, ma determinante per il contrasto con le immagini e le testimonianze seguenti.
Con il coinvolgente pezzo di Woody Guthrie Do Re Mi a fare da filo conduttore, Ferrara realizza un’importante testimonianza del fermento di una parte di Roma, spaccato di un sentimento comune a un’ampia fetta dell’Italia intera, ma evita di prendere fermamente posizione contro le posizioni più intolleranti se non apertamente razziste, lasciando che sia lo spettatore a formarsi la propria opinione ascoltando le varie campane. Una posizione eticamente corretta, ma che alla lunga fa perdere gran parte del mordente al documentario, insieme a una regia sciatta e affrettata anche per i canoni del più puro realismo.
Fra tradizione e modernità, Abel Ferrara con Piazza Vittorio rende il suo intimo e personale omaggio a un’affascinante parte di Roma, che sta necessariamente facendo i conti con un cambiamento globale e pagando il conto di politiche di gestione dell’integrazione superficiali e grossolane. Un documentario imperfetto ma necessario, con cui Abel Ferrara fa ancora sentire la sua voce libera e controcorrente.