Piece By Piece: recensione del biopic animato su Pharrell Williams
La vita di Pharrell Williams raccontata in un documentario autobiografico con animazione Lego. Questo è Piece By Piece, in sala in Italia il 5 dicembre 2024.
Anche ipotizzando cento modi diversi di girare un biopic – qui, il termine più corretto sarebbe documentario autobiografico – l’animazione Lego è il #101. Non andatelo a raccontare a Pharrell Williams. Dopo una vita di successi clamorosi (e private insicurezze) come musicista, produttore, imprenditore e designer di moda – in una parola, visionario – quando si è trattato di rivolgersi contro la macchina da presa ha scelto la strada meno battuta. Piece By Piece non è il solito documentario musicale, nemmeno la solita autobiografia: è un’esperienza di suono e colore fragile e dolce costruita sulla personalità, l’intraprendenza, l’attitudine positiva e l’onesta confusione interiore di uno dei più importanti musicisti americani degli ultimi vent’anni, modellata su una forma parecchio insolita. Regia di Morgan Neville, nelle sale italiane dal 5 dicembre 2024 per Universal Pictures International Italy. Si potrebbe parlarne concentrandosi sull’animazione come inedito espediente di storytelling biografico. Si potrebbe alludere all’imponente della platea di guest star. Ma forse è meglio partire da Virginia Beach.
Piece By Piece: la vita di Pharrell Williams, dalla a alla z e in ordine cronologico
La vita di Pharrell Williams, dalla a alla z, in rigoroso ordine cronologico. Un obiettivo ambizioso, quello di Piece By Piece, perché c’è tanto da dire, sul piano pubblico e privato, e l’ora e mezza di durata (forse qualcosa in più) impone limiti strigenti, forzando il film nella direzione di una sintesi estrema. Forse serve a questo, l’animazione, passato il benefico shock iniziale: a semplificare, a razionalizzare, a creare un fondo visivamente accattivante su cui poggiare le conseguenti riflessioni su vita, arte, musica, dolore e felicità. La vita di Pharrell Williams comincia a Virginia Beach, località balneare – non l’avreste mai detto, eh? – sulla costa Est degli Stati Uniti, nell’omonimo stato. C’è qualcosa nell’acqua, da quelle parti, a due passi dal comprensorio popolare – reddito medio basso, tendente al basso – dove Pharrell vive e cresce.
Le stesse strade e la stessa scuola sono frequentati, negli stessi anni, da colleghi come il rapper Pusha T e da semidei della musica americana del tardo XX-primo XXI secolo come il leggendario produttore Timbaland e Missy Elliott. Pharrell respira musica sin da bambino, ma ci mette un po’ a carburare. Lo aiuta la sinestesia, che gli fa “vedere” i suoni sotto forma di scie di colore, ma soprattutto lo aiuta il destino. In un certo senso, non abbastanza coltivato dalla regia di Morgan Neville, pigra sull’argomento e non solo su quello, Piece By Piece è un commento sul rapporto tra vita e destino. Virginia Beach è fuori dalle mappe dello show business, ma questo non impedisce al mega produttore Teddy Riley di piazzare una sede della sua Future Recordings Studios proprio davanti (!) al liceo frequentato da Pharrell. Comincia tutto così. Teddy Riley, uno studio di registrazione, l’amicizia con Chad Hugo, il primo gruppo, The Neptunes. I Neptunes diventano il più importante duo produttivo dell’hip hop e Pharrell il primo produttore star del nuovo secolo e del nuovo millennio.
Piece By Piece divide a metà il racconto della vita del protagonista: c’è l’intervento diretto di Pharrell tradotto nella plastica geometria dell’animazione Lego, l’inevitabile voice over, la riflessione in prima persona. E c’è l’intervento degli amici, le celebrità, gli artisti straordinari che con il protagonista hanno incrociato il passo, condiviso il successo e affrontato qualche sfida più impegnativa. Essere riusciti a raccogliere le affettuose testimonianze di Jay-Z, Kendrick Lamar, Gwen Stefani, Snoop Dog e non solo, tradisce il prestigio e il glamour dell’operazione. Si parla di musica, di riscatto sociale, di arte, del rapporto stretto tra creatività e capitalismo, di salute mentale, di tensioni razziali e di speranza. Si tratta di capire se la forma del film è in grado di accoglierne comodamente, al suo interno, la sostanza. Perché di carne al fuoco ce n’è tanta.
Un concept interessante, ma poca profondità
Quando si parla di documentario autobiografico, l’interrogativo che precede tutti gli altri è: come fare per tenere sotto controllo la volontà di autocelebrazione? Non bisogna ingannarsi: di colorata, pop, ottimista (con sobrietà) opera di promozione di tratta. Fprtuna che Pharrell Williams sa come mantenere il narcisismo entro limiti accettabili, permettendo a forze più ottimiste e positive di prendere il sopravvento. Il documentario diretto da Morgan Neville è un invito, mediato dal racconto di una vita esemplare, a non lasciarsi abbattere dalle criticità e a lottare; è il messaggio – parola orribile – che Pharrell Williams consegna alla posterità, tracciando il sommario bilancio della sua vita fino a qui. L’animazione non è una novità, per l’artista americano; non va dimenticato che il suo pezzo più famoso e celebrato, che si chiama Happy – è del 2013 e tutti l’hanno ascoltato almeno una volta – faceva parte della colonna sonora di Cattivissimo me 2, di cui il nostro ha curato le musiche.
Oltre il suono, è l’animazione Lego la forza spiazzante di Piece By Piece, la trovata che scardina le convenzioni su un certo tipo di storytelling documentario e la cosa di cui si parlerà maggiormente. Un’arma a doppio taglio, perché il sapore pop e colorato del film è proprio l’elemento che non gli consente di volare più in alto della metafora nuda e cruda. Sarebbe a dire che l’animazione Lego viene usata per raccontarci, con accento didascalico e incedere macchinoso, che la vita di una persona si costruisce un mattone dopo l’altro. E che soltanto grazie a questo espediente è possibile intervenire, retrospettivamente, per dare nuova forma alle cose. Alle memorie, alle esperienze, ai dolori e alla felicità.
L’idea ha un certo spessore e non manca di potenziale, anche drammatico, ma Piece By Piece non osa spingersi troppo lontano. Potrebbe concentrarsi sul rapporto tra volontà e destino, sul legame sempre più stretto tra capitalismo e espressione artistica, sull’artista sempre meno artista e sempre più brand, sul ruolo giocato dal contesto sociale (in questo caso, anche l’esperienza afroamericana) nella costruzione di un carattere. Sono elementi che hanno molto a che fare con la vita di Pharrell Williams. E invece il film non lo fa, si accontenta di un concept senza paragoni per partorire un affresco autobiografico decisamente interessante, abile a giocare sul crinale tra pubblico e privato, che non si nasconde e non ci nasconde niente. Ma che, allo stesso tempo, non ha troppa voglia di indagare sulle cose che racconta.
Piece By Piece: valutazione e conclusione
Piece By Piece è un film con Pharrell Williams e su Pharrell Williams. La battaglia per il destino del film si combatte tra i due estremi, autocelebrazione narcisista e voglia di comunicare senza pudori. Piece By Piece è, anche, quello che in gergo sportivo si direbbe un onorevole pareggio: ha cuore, intrattiene con facilità e ha dalla sua una chiave estetica-formale-creativa originale. L’accoppiata tra due icone della contemporaneità, Pharrell Williams e Lego, dovrebbe giovare alla causa e alla popolarità del film. Ma è proprio l’anima pop e colorata della storia a tradire l’impressione che, sotto la superficie laccata, ci sia poco di viscerale. Oltre l’animazione, il film semina spunti e idee interessanti ma si sforza di non raccoglierli, mantenendo la biografia di un uomo fuori dal comune su un piano – abbastanza innocuo ed è un vero peccato – di ordinaria amministrazione.