Pieles (Pelle): la recensione del disturbante film di Eduardo Casanova

Vomitevole, disturbante e accattivante. È il primo film di Eduardo Casanova intitolato Pieles (Pelle) e disponibile su Netflix.

Pelli bruciate, mozzate, pendenti, pelli in esubero che disturbano lo spettatore, impacchettando le anime come se fossero regali di Natale, con tutte le loro bitorzolute necessità estetiche.

Sono immensi, vomitevoli e strazianti strati di epidermide, quelli che Eduardo Casanova pone sotto gli occhi dello spettatore in Pieles (Pelle), un’opera prima allucinante, riflessiva e provocatoria, che ci spinge ad andare oltre le apparenze attraverso un macchinoso circo degli orrori perennemente in bilico tra la tragicità e la comicità.

Puntando su una fotografia dai colori saturi, ossessivamente orientata verso le sfumature del rosa, con ambientazioni che sembrano essere state estrapolate da una casa delle bambole, il regista spagnolo fa in modo che diverse storie si incastrino vicendevolmente, in un puzzle di corpi e infelicità disarmante.

Pieles (Pelle): una trama in cui si concatenano storie di infelicità

pieles pelle

Pieles si apre così con una donna di mezza età dal fisico appesantito completamente nuda, che con disinvoltura mostra a un uomo un dettagliato catalogo di prostitute, invitandolo a cedere al suo istinto pedofilo.

Ci occorre un attimo per carburare, per capire chi siamo e cosa stiamo osservando, ma dopo poche battute la risposta sgorgherà spontanea dalla mente: l’orrore, nient’altro che l’orrore fluido, sconsiderato, leggero, lo stesso che ci portiamo addosso da sempre e che nel film di Casanova ci viene spiattellato in faccia nella sua forma più semplice: l’uomo.

I personaggi di Pieles sono bizzarri, brutti, inguardabili, in una sola parola deformi.

Si passa da Samantha (interpretata da Ana Polvorosa), una ragazza che ha il deretano al posto della bocca e le labbra – chiaramente lilla – là dove dovrebbe essere posto l’ano (insomma una vera e propria faccia da culo!) a Vanesa (Ana María Ayala), una donna affetta da acondroplasia costretta a vestire i panni di un orsetto per sopravvivere e farsi accettare dalla società e desiderosa di avere un figlio.

C’è poi Laura (Macarena Gómez) una bellissima ragazza cieca – non ha per niente gli occhi, ricoperti da uno strato di pelle – costretta a prostituirsi fin dalla tenera età, che finirà per innamorarsi di un’obesa rifiutata da tutti (Itziar Castro) trovando nel suo massiccio grasso corporeo una gentile morbidezza; Cristian (Eloi Costa) che sogna di non avere le gambe per assomigliare a una sirena e poter così essere felice; Ana (Candela Peña) che ha il volto deformato per metà, un fidanzato ossessionato dalle stranezze e un amante – Guille (Jon Kortajarena) – col volto completamente ustionato.

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Fisici grotteschi e alle volte fuori dalle logiche della natura, che si prestano come filtri essenziali per comprendere la diversità nella sua iperbole perfetta.
Eduardo Casanova si intromette così nella nostra psiche, introducendoci alla visione del suo mondo: comico, esagerato, brutale, vero. Una realtà tragica nella quale il corpo è solo lo scudo, l’apparenza pedante e inevitabile.

A bilanciare cotanta bruttezza esplicita anche tanta schifezza implicita, nascosta nel cuore di persone apparentemente normali ma egoiste a tal punto da far venire il magone, come la madre di Cristian, che continua a maltrattarlo anziché cercare di aiutarlo, vedendo nel figlio un ostacolo alla sua vita felice. E poi c’è il padre del ragazzo, ovvero il pedofilo che va via di casa per non ferire il figlio, lo stesso che regala alla piccola Laura due diamanti da porre al posto degli occhi, rassicurandola che l mondo è pieno di cose talmente brutte che non vale la pena vedere.

È come se la deformità in Pieles fosse un percorso spirituale obbligato per imparare ad amare se stessi.

A stare nella propria pelle, appunto, consapevoli che il corpo cambia, si opera, si trasforma, ma noi siamo ben altro, siamo ciò che non si vede, ciò che non cambierà mai. È quella la parte di noi che gli altri possono amare, il resto è solo attrazione.
E forse non è un caso se nel lungometraggio di Ernesto Casanova a dominare siano i corpi femminili in tutte le loro utilitaristiche differenze. Abbiamo il corpo perfetto di Laura usato come mero mezzo di piacere, quello di Vanesa occultato da un travestimento e quello di Samantha stuprato. E quasi tutti i personaggi sembrano essere vittime della loro diversità, costretti dalle malate logiche della perfezione a privarsi della loro stessa vita.

Solo Ana sembra essersi completamente disfatta dell’idea di solitudine. La sua indipendenza, la sfacciataggine e il coraggio col quale accetta di rimanere sola e di accettarsi, piuttosto che farsi accompagnare da uomini che la amano solo perché vedono in lei la consolazione della loro inferiorità, rappresenta il valore aggiunto e cristallino di Pieles.

La colonna sonora è un’altra preziosa perla inserita nella pellicola; una musica che, virando dall’argentino Daniel Magal alla Royal Philharmonic Orchestra fino alla band spagnola Los Catinos regala strepitose e liberatorie effusioni strumentali e vocali, perfettamente in linea con le immagini che si susseguono sullo schermo.

Se una pecca c’è, in Pieles di Ernesto Casanova, è quella di estremizzare l’importanza della forma penalizzando il contenuto.

Se è vero infatti che il primo lungometraggio del regista ispanico appassiona per il coraggio di saper osare e per l’immane ostentazione della bruttezza, è pur vero che nel volerci sensibilizzare sulle tematiche dell’emarginazione, della solitudine e della discriminazione, Casanova rischia di farci perdere eccessivamente tra gli anfratti di quei corpi senza riuscire a farci andare oltre.

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Vi occorrerà dunque più di una visione per discernere l’anima dal corpo, per ammirare l’impeccabilità stilistica e fotografica senza tralasciare la cura ch’egli riserva alla psiche dei personaggi: dignitosi e fragili oltre ogni senso della vertigine. Intrappolati nella loro quarta parete, impossibilitati a cambiarsi eppure capaci di cambiare chi li guarda.

Insomma, se vi state chiedendo se Pieles (tramutato in italiano con Pelle, nel panorama internazionale con Skins) è un film sulle deformità la risposta è si, ma quella fisica è solo la corsia preferenziale per raggiungere la deformità mentale: siamo davvero così perfetti noi, arrotolati nella nostra pelle? Sappiamo davvero andare oltre le apparenze e innamorarci con l’anima o preferiamo non correre alcun rischio e nessuno sforzo ripiegando sempre e sistematicamente sul nostro umano orrore?

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.9