Platform: recensione del film documentario di Sahar Mosayebi
Al suo debutto alla regia Sahar Mosayebi racconta la scalata al successo delle sorelle Mansourian, campionesse mondiali di wushu.
Una storia difficile quella che Sahar Mosayebi sceglie di raccontare con il suo primo lungometraggio da regista, Platform, un documentario che segue introspettivamente la vita delle tre sorelle Mansourian, Shahrbanoo, Elaheh e Soheila, campionesse mondiali di wushu. Dalla religiosa città di Semirom, Isfahan, abbandonate dal padre e cresciute dalla sola madre, senza l’aiuto di nessuno sponsor né di un preparatore atletico trasformano il seminterrato in una palestra dove allenarsi duramente, con l’unico obiettivo di vincere la medaglia d’oro nei campionati mondiali di wushu.
Si tratta di un’arte marziale che combina la boxe, il wrestling, il Tae-Kwando e il Karate, tutte discipline che è richiesto imparare per combattere nelle diverse categorie. Con la costituzione della Sanda Federations nel 2007 Shahrbanoo viene convocata dalla Nazionale, e di lì a breve anche Elaheh e Soheila. La loro vita cambia radicalmente: nate in una famiglia povera, abituate a piccoli pasti, per la prima volta nella loro vita hanno la possibilità di dormire su un letto. A Semirom ogni donna indossa il velo e lunghi abiti neri, al contrario delle sorelle che non si separano mai dalla loro tuta di allenamento, mostrata con valore ad un popolo che, sebbene diviso ideologicamente sul ruolo assegnato alla donna, non manca di rinnovare la stima nei loro confronti, nella gioia e nel dolore che ogni disciplina è costretta a patire nel patto con la fortuna. Platform è un ring condiviso di battiti accelerati, un terreno di rinascita per ogni sconfitta e un podio di riscatto per l’incredibile sacrificio compiuto.
Platform: l’infanzia per un futuro migliore
“Mentre i genitori degli altri spianavano la strada ai loro figli, noi abbiamo fatto tutto per conto nostro. Volevamo giocare, divertirci ma non l’abbiamo mai fatto. Credo che la vita mi debba molto, ho sacrificato la mia infanzia per un futuro migliore“.
Le lacrime di Elaheh descrivono e condensano in poche righe ciò che il film non è in grado di disegnare, quel periodo dell’infanzia brioso e privo di ogni responsabilità che nella vita delle tre sorelle assume connotazioni del tutto differenti. L’emulazione del padre nello svolgimento di lavori prettamente maschili, i colpi ben assestati per temprarle alla fatica, l’abbandono e la necessità di dedicarsi allo sport per risanare ogni perdita e rimediare alla miseria. Calci, pugni, grida di battaglia risuonano sotto la pelle vibrante di chi assiste, attonito, all’ascesa di tre atlete, animate e alimentate dalla gloria come unica condizione di esistenza. In Platform il punto di forza risiede nella solidale collisione delle tre sorelle, nella combinazione della loro duplice quotidianità, familiare e agonistica, e nella costante presenza della famiglia, che seppur distante, prega e si commuove come fossero un unicum anche quando a portare in alto la bandiera dell’Iran è solo una tra loro. “In una società patriarcale – dice Omid, il marito di Shahrbanoo, – ho il diritto di impedire a mia moglie di fare sport. Ma la amo, non vorrei mai che si sentisse forzata ad abbandonare per me. Ho rinunciato a questo diritto“.
Asian Wushu Championships: a Taiwan, il confronto in tre tempi
Platform si conclude con la proiezione degli Asian Wushu Championships (Taiwan, 2016) in tre tempi: Shahrbanoo, medaglia d’oro nei 65kg, Elaheh, medaglia d’oro nei 52 kg e Soheila, medaglia di bronzo nei 52 kg, grazie ad un sapiente uso del montaggio alternato, combattono all’unisono ciascuna con la propria cifra d’assalto. Un momento ardente, vissuto visceralmente dentro e fuori dal ring dalle atlete e dalla famiglia. In questo susseguirsi di diapositive intense e grida liberatorie vengono messi a confronto vittoria e sofferenza, due lati antitetici che si affrontano ritrovandosi in un unico emozionante podio, per un finale da brividi.