Polaroid: recensione del film horror
Recensione di Polaroid, diretto da Lars Klevberg, storia di un'adolescente timida e introversa che riceve in regalo una macchina fotografica posseduta.
Polaroid è un film a metà strada tra horror e teen movie che piacerà agli appassionati del genere. Bird Fitcher (Kathryn Prescott) riceve in regalo una vecchia macchina fotografica Polaroid degli anni ’70, una di quelle macchine che sviluppano le foto in un minuto. Appassionata di fotografia e di oggetti d’antiquariato, Bird è entusiasta del regalo, e inizia a scattare foto ai suoi amici. Un’inquietante ombra, però, sembra ‘migrare’ da una foto all’altra, spostandosi solo dopo che la persona ritratta è stata brutalmente assassinata. Man mano, Bird inizia a perdere i suoi amici uno dopo l’altro.
Polaroid a metà tra l’horror e il teen movie
Stephen King diceva che le storie di paura fanno capo a quattro o cinque archetipi, non di più. Polaroid appartiene al sottogenere horror de “La Cosa”, ovvero l’entità soprannaturale che distrugge l’uomo. Il film di Lars Klevberg, al cinema dal 6 giugno distribuito da Notorious Pictures, è ispirato a un cortometraggio del regista sul medesimo soggetto: una macchina fotografica posseduta da uno spirito maligno, che cerca le sue vittime tra chi si fa scattare una foto. La tematica spiccatamente horror del film si fonde con gli stilemi del teen movie: la protagonista è una fragile e timida adolescente con un tragico evento alle spalle, e la sua lotta contro l’entità maligna che possiede la macchina fotografica ha tutte le caratteristiche del romanzo di formazione. È grazie alle morti sanguinose disseminate nel film, infatti, che Bird riesce a fare amicizia con i suoi coetanei e a uscire dal suo mondo chiuso a doppia mandata, sfidando gli adulti che non riconoscono il paranormale in quella che a loro sembra semplicemente una tragica catena di eventi.
La sceneggiatura di Polaroid: tra dualità e cliché
Questa dualità di Polaroid però non dice nulla di originale allo spettatore: anzi, preserva i cliché dell’uno e dell’altro genere, con diverse sbavature nella sceneggiatura. Ci sono tanti jumpscare, ma mai un vero momento di tensione o suspense, anche se il regista si è fatto aiutare un buon direttore della fotografia: la luce che va e viene nei momenti in cui lo spirito maligno si manifesta da un tocco in più alla storia. L’ambientazione invernale, in un paese dove nevica sempre, offre l’occasione per una fotografia che vira sui colori freddi e sul buio: non c’è quasi mai luce naturale, se non nelle scene all’aperto, con un cielo plumbeo da cartolina.
Polaroid è colmo di citazioni dal cinema horror e thriller
Polaroid è un film tutto sommato innocente, dato anche il suo pochissimo osare con le scene truculente: non si vede quasi per nulla sangue, malgrado il mostro della macchina fotografica si diverta a uccidere le sue vittime nei modi più barbari. Molte le citazioni, anche di alto livello: gli horror ambientati tra la neve sono sempre a metà strada tra Shining di Kubrick e Fargo dei fratelli Coen. Quando la macchina della protagonista e del suo fidanzatino arriva davanti alla loro scuola, lo scorcio è identico a quello dell’Overlook Hotel sepolto dalla neve.
Non una scena del film è imprevedibile: Polaroid non aggiunge nulla di memorabile al genere horror, con qualche inciampo e molti cliché del genere (come i personaggi che invece di fuggire dal mostro decidono di andargli incontro, o il mancato tentativo di distruggere la macchina fotografica incriminata). Discreti gli attori, che come spesso succede nei film di questo genere non sono particolarmente conosciuti. In Polaroid – e questa è un’altra grossa mancanza del film – non si vedono praticamente adulti, se non lo sceriffo scettico che non crede alle ipotesi paranormali di Bird e dei suoi amici.