Pom Poko: recensione del film d’animazione di Isao Takahata
Pom Poko è il film dello Studio Ghibli che racconta dello sforzo dei tanuki per tenere lontani gli uomini dalla loro terra.
Tutto lo Studio Ghibli si basa su un fondamentale, immobile pilastro: la salvaguardia dell’ambiente e l’educazione alla natura attraverso le sue pellicole. Concetto pregnante che avvalora moltissime, se non la totalità delle opere della casa d’animazione, dove più o meno velatamente i danni che l’uomo apporta al verde circostante sono motivo di narrazione o contorno integrato alle storie intraprese dai personaggi, per una poetica che si fa collante di un intero studio e ne stabilisce la sua posizione. Se, dunque, in alcuni film d’animazione l’attenzione alla difesa dei territori è fatto collaterale seppur presente nell’opera, in Pom Poko è indubbiamente il fulcro stesso della pellicola a concentrare la propria leggenda su montagne, boschi e animali, abitanti legittimi di paesaggi rimaneggiati dagli uomini e destinati alla sconfitta della flora e fauna antecedente.
Con un esercito di tanuki pronti a proteggere la loro terra, Pom Poko a mo di favola descrive il complesso processo di insegnamento dell’arte del trasformismo necessario al popolo dei procioni protagonisti, abilità attuata per osservare e tentare di mantenere immacolato il loro ambiente vitale. Metamorfosi impiegate come camuffamento per avvicinarsi a quegli umani soggetti della distruzione e oggetto di esame per escogitare il metodo per scacciarli definitivamente. Stabilendo questo smacco divisivo cruciale, dove da una parte si estende ancora la vegetazione-casa dei tanti tanuki, mentre dall’altra scavatrici e gru mangiano piano piano strati di montagne e colline, la fiaba di Pom Poko tenta la soluzione basandosi come su di una storia che guarda alla tradizione, di mitologie antiche che tornano – sempre attraverso la trasformazione, questa volta filmica – sotto impronta cinematografica.
Pom Poko – Dalle fiabe all’impegno ambientale
Prendendo dal racconto Futago no hoshi di Kenji Miyazawa, il regista e sceneggiatore Isao Takahata mette in mostra la quotidianità di questi curiosi animali – più che mai procioni davanti agli occhi degli umani, ma bipedi eretti su due zampe quando non ci sono sguardi indiscreti a scrutare. Esistenza stravolta dal bisogno di diventare un unico corpo, sorvolando su faide interne da sempre ricorrenti tra i tanuki, per fronteggiare così un solo, ma comune nemico. Con voce narrante a seguire i passi incerti, ma determinati dei personaggi, – la quale sottende ancor di più quell’atmosfera di trasmissione popolare delle favole tramandata secondo un cantastorie principale – il film fa dell’impegno dei tanuki un’emergenza che non dovrebbe più isolare, ma venir espressa a gran voce per difendere chi la possibilità di urlare il proprio disappunto non ce l’ha.
Fronteggiando le “colline senza volto” che pian piano si estendono davanti agli animi afflitti, ma combattenti dei procioni protagonisti, cercando di impedire con qualsiasi intuizione o mezzo la costruzione dei quartieri residenziali a quel luogo destinati, gli animali mescolano la loro buffa fattura con l’impegno in un’impresa forse troppo grande, ma che il film sostiene nel suo essere inderogabile, non dimenticando la ludica esperienza di visione bambinesca sortita dalle strambe capacità dei procioni di Pom Poko. Una causa totalmente da sposare, ma che la pellicola reitera uguale a se stessa senza saper più, a un certo punto, dove andare, ripetendosi per un’intera ora e rendendo ridondante un racconto che non sa, apparentemente, come risolversi.
Pom Poko – Cercare di proteggere i tanuki non significa riuscirci
Condizione che, sicuramente, può essere accomunabile con le circostanze a cui devono stare i tanuki, ma che non può certo tenere in alto l’attenzione per una storia che finisce per risultare, purtroppo, solamente noiosa, quasi come si fermasse rimanendo in sospeso nel suo stato costante, non solo non sapendo quale piano attuare contro gli umani, ma quale applicare anche per concludere il film. Un’immobilità che non può più avvalersi del trasformismo dei procioni, degli scherzi mistici compiuti verso gli umani, ma volendo portare lentamente verso quella inevitabilità che, però, in sceneggiatura sarebbe dovuta giungere in maniera meno trascinante.
Pur simpatici nella loro figura e stravaganti nella loro potenzialità di poter cambiarla, i tanuki di Pom Poko vanno sicuramente tutelati, ma non con un’opera con un destino simile, incentivato in un primo momento nella lotta contro il consumismo edilizio, ma rassegnato nel suo progredire.