Ponyo sulla scogliera: recensione del film di Hayao Miyazaki
Presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia del 2008, Ponyo sulla scogliera prende ispirazione da un racconto illustrato firmato da Iya Iya En e Rieko Nagakawa.
In Ponyo sulla scogliera, Sosuke vive con la madre vicino al mare: giocando sugli scogli trova un grazioso pesciolino intrappolato in un vasetto di vetro, solo uno dei numerosissimi rifiuti che gli umani abbandonano in acqua. Dopo averla salvata e aver scoperto alcuni suoi sorprendenti poteri guaritori, Sosuke decide di chiamarla Ponyo. Il padre del piccolo pesce, disperato per averla persa, la fa tornare a casa causando però un enorme dispiacere sia per Sosuke che per Ponyo; quest’ultima esprime il desiderio di vivere con il suo amico sulla terraferma e grazie alla magia si trasforma in buona parte in una bambina umana in modo da potersi unire al compagno di avventure. La magia sprigionata per queste operazioni, però, sprigiona un’enorme quantità di energia, che provoca notevole subbuglio nella natura circostante: durante un maremoto, la madre di Sosuke resta separata dal figlio, che si mette con la nuova amica alla ricerca dell’adulta rimasta bloccata in una casa di cura.
Presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia del 2008, Ponyo sulla scogliera prende ispirazione da un racconto illustrato firmato da Iya Iya En e Rieko Nagakawa con lo stesso titolo. Il film si allinea per tematiche e sensibilità alla filmografia di Hayao Miyazaki, pur presentato un ventaglio di personaggi e ambientazioni meno ampie e più verosimili rispetto ai grandi capolavori della sua carriera. Ponyo sulla scogliera infatti mette in campo tanti personaggi magici e tante forze della natura ma si concentra in particolare sulla dimensione quotidiana influenzata dal grande inquinamento mondiale. Il villaggio di Sosuke e Risa, sua madre, è un paese realistico e popolato da abitanti realistici: in questo senso, in questo film Miyazaki si concentra su una dimensione domestica e meno roboante rispetto ai fasti di, per esempio Nausicäa della valle del vento, ponendo l’accento sui piccoli gesti che quotidianamente finiscono con il danneggiare l’intero pianeta.
Esemplare per esprimere questo concetto è già la scena iniziale, con le reti del peschereccio che raccolgono pesci e rifiuti in egual misura, con i secondi che provocano però inaspettati ulteriori danni all’ecosistema circostante. Se da un lato risulta assolutamente in primo piano la sensibilità di Miyazaki verso i tempi ecologici e dell’importanza di preservare il mare e l’oceano, dall’altro lato il regista e sceneggiatore dimostra di voler mettere alla prova uno smaccato interesse verso diverse tipologie di comunicazione. Cosí vengono messe in campo altre lingue per parlare, per esempio il codice Morse con cui Risa litiga “per interposta persona” da una sponda all’altra del corso d’acqua, ma anche e soprattutto n=viene sottolineata la capacità empatica che avvicina gli esseri al di là delle loro differenze evidenti. In questo modo si sviluppa il rapporto tra Sosuke e Ponyo, che risulta capace di superare le differenze di specie (un umano e un pesce), di sesso, di cultura e di risorse: i due sono infatti abili a mettere a sistema le loro diverse possibilità e ricchezze per riuscire nell’intento di raggiungere la madre di Sosuke prima e di restare uniti dopo. La magia di Ponyo, i giocattoli di Sosuke, la forte volontà di Ponyo, i grandi bisogni di Sosuke: tutto confluisce in operazioni congiunte e in una collaborazione forte e univoca che li porta, ovviamente, a riuscire nel loro intento di trovare e portare in salvo Rise. Con Ponyo sulla scogliera Miyazaki conferma tutto ciò che già conosciamo a proposito delle sue opere, anche se in forma più sobria e contenuta, ma non per questo meno efficace.