Povere creature!: recensione del film di Yorgos Lanthimos, visto a Venezia 80
Povere creature! (Poor Things) di Yorgos Lanthimos è un concentrato potentissimo di ironica e stravolgente bellezza. È libertà ancestrale e sfrenata, da godere senza remore né inganni. Rimarrete estasiati!
La scoperta passa per la sperimentazione, che si fa sistematica trasformazione dei corpi, che si incasella a sua volta nel ritrovamento di un piacere ancestrale, meccanico, naturale. In Povere creature! (Poor Things) di Yorgos Lanthimos, presentato in Concorso alla 80ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, la bellezza stride con l’evoluzione, producendo un’ondata di piacere incommensurabile che sfiora la vista, l’udito e il cuore.
Basandosi sul romanzo di Alasdair Gray e lavorando su una sceneggiatura di Tony McNamara, il regista di opere come The Lobster (2015), Il sacrificio del cervo sacro (2017) e La favorita (2018) sa imbrigliarci ancora una volta in un emisfero possibile in cui l’umano si fa artefice del mostruoso e del meraviglioso.
Il dottor Godwin Baxter interpretato da Willem Dafoe, che non a caso abbrevia il suo nome in God, ovvero Dio, è un rivoluzionario Frankenstein, risultante anch’egli di incresciose sperimentazioni inflittegli dal padre in nome del progresso e della scienza. Bella Baxter (Emma Stone) è la sua creatura: una donna riportata in vita nella cui testa è stato trapiantato il cervello del feto che portava in grembo.
Il suo nome non è affatto un caso, poiché la donna seduce nonostante il suo handicap. Impara poco alla volta, impara come un bambino viziato, tradendo il buon costume e le logiche convenzioni dello stare al mondo e sfuggendo alla gabbia dorata all’interno della quale il suo creatore vorrebbe costringerla. Bella ha sete di scoperta e fugge senza remora insieme a Duncan Wedderburn, un avvocato scaltro e dissoluto, fin troppo convinto delle sue abilità sessuali, a cui presta il volto Mark Ruffalo.
La scoperta è, sotto ogni punto di vista, il motore che muove Povere creature! di Yorgos Lanthimos e lo fa verso più direzioni, coinvolgendo e stravolgendo tutti i sensi dello spettatore. Potremmo dire che il film è un coming of age sui generis, poiché denota il passaggio dall’età dell’innocenza alla consapevolezza del proprio corpo come mezzo per raggiungere il piacere: nella strettoia che collega questi due frangenti, però, Lanthimos infarcisce molti più sottotesti e lo fa con un’ironia pungente, tale da farci riflettere e intagliarci dentro nello stesso istante in cui ci fa ridere fino alle lacrime e ci fa riconoscere esattamente lì, su quella tavolozza di celluloide che si mobilita sul grande schermo. Siamo il risultato di un abuso, lo scarto meccanico della società, siamo le emozioni che scegliamo di soffocare e che ci inibiscono la felicità.
Immagini da ingurgitare con gli occhi in un “coming of age” sentimentale e fantascientifico
L’autore ci attrae a sé senza indugi, catapultandoci in un mondo in bianco e nero attraverso il canale preferenziale di una musica fatta di rintocchi striduli e suonate di pianoforte a intermittenza, musica che rimbomba come una bolla d’acqua assopendo tutto il resto e infilandosi tra le cicatrici della realtà. Se il compositore Jerskin Fendrix, coadiuvato dai suoni di Johnnie Burn, ci fa inarcare dentro le sue sinfonie, è alla fotografia di Robbie Ryan che dobbiamo la smania della tattilità visiva. Il suo obiettivo cattura angoli astrusi e pertugi mai esistiti e li spennella di realtà (meritano una menzione, chiaramente, la scenografia di James Price e Shona Heath, i costumi di Holly Waddington e gli effetti visivi di Simon Hughes), richiamando a tratti l’arte di Escher: il mondo appare riflesso, lontano, luminoso, tanto avanzato quanto irrimediabilmente inabissato in un passato scientificamente retrogrado. Il bicolore passa gradualmente all’accecante magia delle sfumature pastello e in entrambi i casi la messa in scena ci indica che non è realtà, poiché graficamente parlando non esiste normalità. Si è reclusi nella mancanza di colori oppure si eccede nella loro presenza fino a ingurgitarli con gli occhi. I paesaggi e i personaggi, nonché i luoghi in cui viaggiamo (Lisbona, Alessandria, Parigi) sono cartoline fantasiose ed entusiasmanti in cui surrealismo ed iperrealismo convivono con un’ingenuità spaventosa e disarmante.
Povere creature! (Poor Things) e gli occhi di Emma Stone come setaccio della realtà
Yorgos Lanthimos, dal canto suo, anche in questo caso non ci regala realtà, ma un mondo migliore, visto talvolta come dallo spioncino di un portone, talaltre incastrano in estasi di piacere.
Inutile sottolineare come il personaggio di Emma Stone e l’encomiabile interpretazione dell’attrice siano la cifra fondante dell’intera opera: dai suoi occhi passa tutta l’innocenza e tutto il peccato, passa la sottomissione, la voglia di emancipazione e la mercificazione del corpo femminile, nonché lo stratagemma di un’intelligenza mascherata d’isteria.
È bene chiarire che Povere creature! non è solo un dialogo dell’autore col pubblico, bensì un’ipotetica messa in scena in cui converge tutta la sua produzione passata, ovvero quella filmografia in cui l’umano e il bestiale comunicano, mettendo sulla bilancia l’umanità e svuotandola di socialità e convenzionalità.
L’istinto perspicace e audace di Bella la induce a fare tutto ciò che qualsiasi essere umano vorrebbe (talvolta) fare, come esternare atti di violenza nei confronti di un neonato che disturba al ristorante o ritenere divertente l’idea di fare sesso smodatamente. Ammettetelo, su: se fosse lecito, se fosse educato, sareste tutti Bella Baxter e mandereste al diavolo con nonchalance tutte quelle etichette di presunta civiltà che dovrebbero aiutarci a vivere in un mondo più bello e più giusto.
Con incantevole raffinatezza e ironia Yorgos Lanthimos ci pone sul piatto d’argento una società in cui la felicità e la libertà sono un miraggio. Lo fa facendo passare tutto dagli occhi di Bella: la sua prospettiva sulle cose funge da travolgente e autentica lente d’ingrandimento per affrontare questione delicatissime e irrisolte.
La bellezza del personaggio della Stone è che esteticamente ed esteriormente non muta: il suo fascino esteriore è lapalissiano e il suo corpo è come miele per qualsivoglia pretendente. La sua è però una rivoluzione interiore che inizia nel momento stesso in cui scopre che può procurarsi piacere stimolandosi i genitali. Bella è come un’adolescente in preda alla voglia e alla sperimentazione ma, a differenza di una normale adolescente, ha un aspetto di donna che le conferisce un biglietto da visita preferenziale e un “padre” che non le pone limiti di alcun genere. E, cosa più importante, è scevra da pregiudizi. Ma c’è un muro di gomma contro il quale la protagonista si scontrerà sempre e sono gli uomini che desiderano solo una cosa: controllarla e mutilarla, sia nel corpo che nello spirito.
Isteria, infibulazione, prostituzione e controllo
A tal proposito, è interessante annotare l’ironica eleganza con cui l’autore riesce a immettere nell’opera l’anatomica supremazia della donna sull’uomo (Bella può fare sesso tutte le volte che vuole, mentre Duncan ha i suoi limiti, come tutti gli uomini!) e la stessa idea della prostituzione, vista come un punto a favore (“mi pagano per fare sesso?”) e non come “l’atto più deplorevole che una donna possa fare”. Non manca poi il dettaglio sulla pratica dell’infibulazione – barbara pratica ancora tristemente in voga in alcuni Paesi – vista come risoluzione a tutte le strambe idee di Bella, il che ci collega all’antico concetto di isteria.
Tutto, insomma, finisce per passare dal sesso, in tutti i sensi. L’organo riproduttivo femminile è causa di conoscenza, emancipazione e libertà e i suoi “bisogni” collidono con le presunte buone maniere, urtano la mascolinità appiccicosa e becera, sconfinando in azioni e parole. E, si sa (siamo ovviamente drammaticamente ironici), quando una donna parla troppo non si può far altro se non ucciderla.
Lanthimos ridicolezza l’odio (personificato dall’attore Christopher Abbott) relegandolo in un corpo di uomo e un cervello di capra e crea filamenti sottilissimi tra passato, presente e futuro, poiché Bella è le donne di tutte le epoche, accantonate solo perché donne, perché definite inferiori, perché isteriche, perché pensanti.
Povere creature! (Poor Things): valutazione e conclusione
C’è un rischio altissimo che si corre, vedendo Povere creature! (Poor Things) di Yorgos Lanthimos ed è l’inevitabile dipendenza dalle battute di Emma Stone, deliziosamente più eccitanti dei suoi seni scoperti. L’altra probabilità è che possiate rinvenire fugacemente in quest’opera tantissime altre opere cinematografiche e letterarie e si, può anche darsi che tutti questi legami siano leciti, ma a nostro avviso Poor Things non è eco di niente, bensì essenza nuova, incontenibile e necessaria. Rimarrete estasiati!
Targato Searchlight Pictures in associazione con Film4 e TSG Entertainment, il film è una produzione Element Pictures e vede nel cast, oltre i già citati Emma Stone, Mark Ruffalo, Willem Dafoe e Christopher Abbott, anche Ramy Youssef, Suzy Bemba, Jerrod Carmichael, Kathryn Hunter, Vicki Pepperdine, Margaret Qualley, Hanna Schygulla. Un plauso va fatto inoltre alla candidata all’Oscar Nadia Stacey per le acconciature e il trucco prostetico, al montatore candidato all’Oscar Yorgos Mavropsaridis e alla set decorator Zsuzsa Mihalek.
Povere creature! è nelle sale italiane dal 25 gennaio 2024, distribuito da The Walt Disney Company Italia.