Prayers for the Stolen: recensione del film di Tatiana Huezo
Un racconto di iniziazione all'adolescenza il cui fulcro sono i suoi personaggi femminili.
In certe parti del mondo la vita si mette di traverso e comincia a smantellare sogni e aspirazioni. In certe parti del mondo quando il cuore si contrae svuota sassi. Prayers for the Stolen, il dramma messicano scritto e diretto da Tatiana Huezo, ci fa penetrare in un luogo mortifero dove il fenomeno della tratta di esseri umani è all’ordine del giorno e la fuga l’unica speranza per chi ambisce a una realizzazione personale. Il lungometraggio liberamente adattato dall’omonimo romanzo del 2014 di Jennifer Clement è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2021 e ha ricevuto la menzione speciale per la sezione Un Certain Regard. Prayers for the Stolen è disponibile per la visione in esclusiva sulla piattaforma streaming MUBI a partire dal 29 aprile 2022.
Prayers for the Stolen: le ragazze rubate alla vita di Guerrero
Una storia di formazione ambientata nel piccolo villaggio di Guerrero – Stato del Messico situato nella parte sud occidentale del paese – dominato dallo spaccio di droga e dalla costante minaccia del traffico di esseri umani. Il plot ruota attorno alle vicende di tre giovani amiche ( Ana, Marya e Paula) i cui destini sono controllati da prepotenti che vogliono trasformarle in schiave (per lo sfruttamento sessuale) o in fantasmi (ridotte in schiavitù). Con l’unico scopo di sopravvivere in quest’ambiente ostile, sin da piccole vengono addestrate dalle madri a misure estreme per sfuggire alla cattura: ad abbandonare la loro femminilità (perché “in Messico essere brutta è la cosa migliore che possa capitare a una bambina”) o a nascondersi al momento del pericolo in fosse scavate nella terra nuda.
Huezo segue le tre protagoniste nella vita di tutti i giorni, sottolinea come essa sia scura e inespressa, dominata da un sempre più tangibile senso di pericolo imminente. La cinepresa indugia sui primi piani di Ana e delle due amiche, sul percorso di maturazione che per loro corrisponde a una terribile presa di coscienza in un presente che rifugge l’immaginazione, dove ci sono giovani donne rapite, adulti che si volatilizzano e ragazzine costrette a tagliare i capelli con la scusa dei pidocchi e con l’illusione che ciò le sottragga alle attenzioni dei trafficanti. Ana integra l’universo parallelo e intimo creato nel tempo con le due amiche inserendovi le proprie aspirazioni fino a quando la realtà non irrompe, brutale come un incubo, a ricordarle che in quello sperduto angolo di mondo non c’è posto per i sogni.
Una storia cupa raccontata in stile documentaristico
Una storia cupa raccontata in stile documentaristico da Tatiana Huezo; un racconto di iniziazione all’adolescenza il cui fulcro sono i suoi personaggi femminili, il loro isolamento, la situazione e la loro disperazione nelle aree rurali messicane (non solo delle tre ragazzine, ma anche delle mamme coraggio dal volto duro rappresentate in primis dall’attrice Mayra Batalla nel ruolo della madre di Ana). Prayers for the Stolen si presenta anche come un’opera thrilling nella quale la minaccia è sempre incombente. Ma la violenza non è mai al centro dell’immagine, è per lo più nascosta o tenuta ai margini del campo visivo, a differenza delle protagoniste dall’esistenza segnata, per citare Emily Dickinson “nate nel sudario“: la regista lo suggerisce nel titolo del film, nella scena d’apertura e soprattutto con una magnifica inquadratura dominata dal rosso che cattura lo sguardo dello spettatore e impone una lettura univoca dell’immagine.