Prey: recensione del film Disney+
Un Predator primordiale in Prey, film Disney+ poco avvincente, diretto da Dan Trachtenberg e in uscita il 5 agosto 2022
Disponibile sulla piattaforma Disney+ a partire dal 5 agosto 2022, è in arrivo Prey, l’ultima creazione diretta da Dan Trachtenberg che ricorda le atmosfere animalesche e horror di Predator e gli altri film della prolifica saga. Ultimo capitolo della serie di film dedicati al feroce mostro, Prey è ambientato nelle terre della tribù Comanche intorno al 1700 e vede protagonista un’inedita eroina, Naru: una giovane cacciatrice capace di battersi e restare sulle tracce di un’invisibile minaccia per tutto il suo villaggio. La trama segue i continui scontri tra i combattenti Comanche e l’imprendibile mostro, fino all’immancabile scontro finale proprio con Naru, non perdendo occasione per provare a definire i confini sociali entro cui la giovane protagonista si deve muovere, visto che, in quanto ragazza, si trova più volte a dover fronteggiare pregiudizi e limiti a lei imposti da parte degli aitanti uomini della comunità. Forse anche per questo Naru trova nel suo fidato segugio il migliore dei compagni di vita.
Prey: cultura Comanche e fantascienza nel film di Dan Trachtenberg
Già dietro la regia di Cloverfield Lane e altri film di genere, Dan Trachtenberg firma anche l’ultimo capitolo della saga Predator e con Prey punta su una resa verosimile della cultura Comanche dell’epoca, divertendosi a intrecciarla con un’infinità di elementi di fantascienza. La quantità di effetti visivi infatti rende praticamente impossibile dare credito a una rappresentazione sociale in questi termini, applicati inoltre a una trama a dir poco iperbolica. Il trattamento spettacolare non resta prerogativa dei momenti di azione che vedono il mostruoso nemico protagonista, ma anche durante le sequenze di dialoghi e vita quotidiana vissuta da Naru, tanto da snaturare qualunque atmosfera sociale di ogni connotazione emotiva e umana. Anche a livello cromatico, la scelta di affidarsi al costante contrasto tra i toni crepuscolari del bosco e il verde fosforescente delle tracce del mostro non contribuisce certo all’obiettivo dichiarato dalla produzione di rendere giustizia a una popolazione come quella Comanche.
Un film poco avvincente
A livello di narrazione, la sceneggiatura di Prey si affida a una continua ripetizione di sequenze relative a caccia e lotta tra Naru (o altri cacciatori del villaggio) e l’invisibile minaccia, che si susseguono tra loro senza definire una reale soluzione di continuità. In questo senso, l’andamento del film non si può definire avvincente, nel momento in cui ci si trova davanti all’iterazione piuttosto sfacciata dello stesso schema narrativo. In altre parole, viene meno il lato più prettamente narrativo, mancando un reale racconto del contorno umano della vicenda e una progressione delle scene d’azione verso una crescente spettacolarità degli scontri. Tutto si mantiene sullo stesso livello, facendo assomigliare il film nel suo complesso più a un loop estetico che a una reale progressione narrativa. Come accennato, l’aspetto visivo e cromatico di Prey e il numero limitatissimo di personaggi che popolano il bosco definiscono un ambiente bidimensionale, decisamente privo di profondità emotiva e sociale, in cui l’apparato narrativo finisce con il parere molto debole e fine a se stesso. A differenza di altri film in cui Predator riusciva a innescare dinamiche convincenti all’interno dell’ambiente in cui si inseriva, Prey si presenta asettico nei confronti degli spettatori e ogni elemento della narrazione non si lascia permeare da ciò che lo circonda; ogni personaggio resta chiuso nel suo mondo e solo la creatura mostruosa, Naru e il suo cane riescono in brevi momenti a interagire tra loro in maniera più organica.