Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett: recensione del film di James Marsh
Il film con protagonista Gabriel Byrne e dedicato alla biografia di Samuel Beckett, è al cinema dal 1 febbraio
Il personaggio che diventa persona, le persone che diventano personaggi, il confronto con il sé che passa dal confronto con l’altro; con Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett, il ricordo di Samuel Barclay Beckett, uno dei più grandi letterati del ‘900, nasce dal pubblico per poi rivivere nel privato, partendo dai uno dei momenti cardine della sua carriera e andando poi a ricostruirne l’esistenza capitolo dopo capitolo, pezzo dopo pezzo, puntando la lente d’ingrandimento sui rapporti personali che ne hanno determinato il successo e ne hanno originato i rimpianti. L’opera di James Marsh, presentata fuori concorso alla 41ª edizione del Torino Film Festival, arriva 6 anni dopo i precedenti Il mistero di Donald C. e King of Thieves e a 10 anni di distanza dal più celebre La teoria del tutto. Prodotta da 2LE Media, Film Constellation, Proton Cinema, Sky Arts e Umedia e distribuita da BIM Distribuzione, la pellicola si impreziosisce inoltre delle interpretazioni di Gabriel Byrne, protagonista nei panni dello stesso Beckett, Sandrine Bonnaire (La scelta di Anne – L’Événement, Confidenze a uno sconosciuto), che interpreta Suzanne, moglie dello scrittore, e Aidan Gillen (Il Trono di Spade, Peaky Blinders) in versione James Joyce.
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Prima danza poi pensa: l’individuo che si fa doppio
Il tutto parte dal 1969, da quella “catastrofica” vittoria del Premio Nobel per la Letteratura dalla quale il protagonista fugge, nelle primissime inquadrature, per giungere ad un confronto con sé stesso in un fatiscente non-luogo, figlio di quella surrealtà che ha fortemente caratterizzato il suo operato. La questione da risolvere è il destino dell’indesiderato premio in denaro ricevuto, che apre ad una ricostruzione biografica, assemblata per mezzo di una serie di flashback giustapposti e volti a rievocare tutti quei rapporti che hanno caratterizzato la sua esistenza e determinato l’evolversi della sua carriera.
Samuel Beckett (Gabriel Byrne) riparte pertanto dai suoi primi ricordi: dalla perdita del padre e dal complicato confronto con una madre severa ed estremamente anaffettiva, per poi volgere all’incontro con il suo grande maestro James Joyce (interpretato da un Aidan Gillen in stato di grazia), il quale prima tenta invano di prometterlo alla figlia Lucia (Gráinne Good), affetta da un disturbo depressivo sfociante in incontenibili scatti d’ira, e dopo trova il modo di vendicare il suo rifiuto. Passano gli anni e al fianco di Beckett, che per il periodo giovanile rintracciamo nel volto di Fionn O’Shea, troviamo Alfy (Robert Aramayo), unico vero amico dell’autore, nonché tramite per l’arrivo travolgente di Suzanne, la futura moglie di Samuel interpretata, in giovane età, da Léonie Lojkine.
Tutta l’ultima parte dell’opera è quindi dedicata al controverso rapporto coniugale, osteggiato dall’ingombrante presenza della critica e traduttrice Barbara Bray (Maxine Peake) la quale, da amante dello scrittore, lo porta a scindere il suo privato tra il cieco sostenimento della moglie e l’appassionata ed intellettualmente stimolante relazione con la nuova compagna.
Biografismo attenuante
Prima danza poi pensa – Alla ricerca Beckett racconta un gigante della macchina da scrivere non tanto in quanto artista ma più che altro in quanto uomo, persona, preferendo al suo lato più sovversivamente poetico, un’intimità determinata quasi esclusivamente dai legami che ne hanno tracciato l’evoluzione. Quello con sé stesso è il confronto predominante, che dà il là a un diramarsi di rimpianti e di pessimistiche autocritiche, capitolate da relazioni affettivamente ed intimamente connesse al suo io più più nascosto; una riesamina del suo essere con sé e del suo essere con gli altri, che ne attenua l’eco smisurata e lo porta a mostrarsi fragile ed imperfetto come tanti prima e dopo di lui, sullo schermo e nel reale, senza portalo veramente a confrontarsi con quella sua parte surrealistica e senza approfondire quel suo lato più visceralmente beckettiano.
Prima danza poi pensa – Alla ricerca Beckett: valutazione e conclusione
Dopo Stephen Hawking (La teoria del tutto) e Donald Crowhurst (Il mistero di Donald C.), James Marsh torna sul racconto delle grandi personalità del ‘900 con un’opera che, tramite la suo mano sicura ed esperta, accompagnata in sceneggiatura da Neil Forsyth, segna un ritratto da considerare rispetto a diversi fattori; se l’intenzione intimistica, già operata nelle precedenti biografie, è sicuramente da apprezzare anche per il suo lato così tanto caratterizzante, la sua realizzazione perde a causa di una scarsissima considerazione del lato più intimamente letterario e a causa di una ritmica serrata, evidente sin dalle prime sequenze e dal quel non-mondo mostrato con troppa semplicità e poca empatia. Avviene una normalizzazione di una leggenda, che non emoziona quanto dovrebbe e non riesce a dare il senso più profondo dell’essere Samuel Beckett e a trasmettere la stessa imponenza che il suo nome porta con sé; eppure da elogiare sono le interpretazioni dei protagonisti, tra le quali, più che quella di Byrne, emerge la prova di Sandrine Bonnaire, che con il suo sguardo malinconico fa da baluardo emozionale per l’intera opera.
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