Profeti: recensione del nuovo film di Alessio Cremonini

In Profeti Alessio Cremonini racconta il confronto tra due donne agli antipodi, Sara, una giornalista italiana rapita dall'Isis, e Nur, una foreign fighter sposata a un miliziano.

Prigionia, diritti delle donne, Medio Oriente, religione, scontro di civiltà: Alessio Cremonini (Sulla mia pelle) in Profeti racconta tutto questo, e lo fa con una storia che vede il confronto tra due donne interpretate da Jasmine Trinca e Isabella Nefar. Il film, scritto dal regista con Monica Zappelli e con la consulenza di Susan Dabbous, arriva in sala il 26 gennaio 2023, prodotto da Cinemaundici e Lucky Red con Rai Cinema, in collaborazione con Sky Cinema.

Sara (Jasmine Trinca) è una giornalista italiana che si trova in Medio Oriente per raccontare la guerra dello Stato Islamico. Un giorno viene rapita dall’Isis e per i miliziani quanto donna, essere inferiore, senza dignità se non sottomessa al maschio, non può stare in una prigione dove sono presenti anche degli uomini, e per questo motivo viene data in custodia a Nur (Isabella Nefar), una foreign fighter radicalizzata a Londra che ha sposato un miliziano e ora vive nel Califfato. Nella casa di Nur, una prigione per Sara, nel mezzo di un campo di addestramento le due donne avranno un lungo confronto durante il quale Nur tenterà di convertire Sara.

Profeti – Un film sull’assenza

Profeti, cinematographe.it
Isabella Nefar e Jasmine Trinca

Il regista Alessio Cremonini ha definito Profeti un film sull’assenza, una parola che si può riferire a diversi aspetti di quest’opera che arriva dopo il suo toccante e importante film Sulla mia pelle, su Stefano Cucchi. Assenza di Dio, cristiano o musulmano non cambia, dove le bombe sono all’ordine del giorno e la vita umana conta poco, assenza della donna come essere umano, che deve abbassare sempre lo sguardo di fronte a un uomo, che deve vivere reclusa in casa o che deve nascondersi sotto una coperta come è costretta a fare Sara di fronte ai suoi rapitori, sparire, annullarsi, diventare un oggetto buttato sul pavimento. È forse l’immagine emotivamente più potente del film, quella che ci restituisce una dimensione per noi occidentali inconcepibile ma all’ordine del giorno nei paesi del Medio Oriente, come vediamo dalla cronaca recente in Iran dove le donne protestano e muoiono per non abbassare più la testa. “Una donna non deve mai dare scandalo anche se è occidentale”, dice un miliziano “dall’alto” del suo essere uomo, mentalità non così lontana da quella di certi occidentali, dalla quale, quindi, nessuna donna può sentirsi al sicuro.

Il confronto tra le due protagoniste, Sara e Nur, diventa quello tra due civiltà, tra due diversi modi di essere donna: una indipendente, con il lavoro al centro di tutto e senza un dio in cui credere, l’altra che ha come unica ragione di vita Allah, sposa di un miliziano, sottomessa alla fede e agli uomini. Ma il film non vuole dare un giudizio, lascia parlare le due donne anche attraverso lunghi e densi silenzi: si scrutano, si giudicano, si scontrano. “Gli uomini fanno la storia”, dice Nur, “Troppo”, risponde Sara in un faccia a faccia che non dà tregua durante tutta la visione del film. La prigionia permette a Sara di scandagliare un universo emotivo a lei sconosciuto, una diversa dimensione di essere donna e di libertà, finendo forse per subirne il fascino. Sara, come lo spettatore, cerca di comprendere le ragioni di Nur, che dopo una vita senza appartenenza trova nell’Islam la sua “casa”, e anche se all’inizio le sembra inconcepibile viene gradualmente coinvolta nel suo credo: sindrome di Stoccolma o vera conversione?

Profeti – La prigionia secondo Cremonini

Profeti, cinematographe.it
Jasmine Trinca

Nella claustrofobica casa di Nur, con le finestre coperte, con il silenzio costante, Sara trova uno spiraglio in una parete dalla quale guarda l’esterno, l’orrore, la quotidianità del Califfato, uno sguardo sul mondo che la circonda, così lontano da quello che ha sempre conosciuto e che forse non vedrà mai più. La sua visione del mondo si limita a questo e Alessio Cremonini, attraverso un racconto radicale e una messa in scena scarna ma efficace, ci fa vivere ancora una volta, dopo le vicende di Stefano Cucchi, dietro “le sbarre” dove non ci sono più diritti, dove l’essere umano acquisisce una nuova e triste valenza.

Combatto per i curdi, per la libertà e per le donne”, dice una combattente curda intervistata da Sara all’inizio del film, “in Medio Oriente, se sei una donna, devi imparare a difenderti il prima possibile. Qui, la maggior parte dei regimi è basata sulla sottomissione, sull’oppressione delle donne. È per questo che le uniche persone che possono cambiare questa mentalità sono le donne”, un monito valido ad ogni latitudine, anche da questa parte di mondo da dove, da donne e uomini privilegiati, giudichiamo e “normalizziamo” i conflitti lontani da noi, non capendo fino in fondo che i diritti non sono mai conquistati per sempre ma bisogna lottare per proteggerli.  E Profeti di Alessio Cremonini ci racconta anche questo.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4