Provaci ancora, Sam: recensione del film con Woody Allen e Diane Keaton
Prendiamo il cinema. Prendiamo un Woody Allen agli inizi ed una Diane Keaton spigliata ed affascinante. Aggiungiamo turbe amorose, conflitti personali, analisti in vacanza ed il mistero che avvolge il mito di Humphrey Bogart. Amalgamiamo il tutto in un insieme organico condito di aspirine e Darvon servito con succo di mele, leghiamo con una leggera seppur ricercata ironia e avremo tra le nostre mani Provaci ancora, Sam, uno dei primi classici della cervellotica comicità alleniana.
Quarto lavoro da protagonista per il cineasta americano più problematico della settima arte, il film del 1972 che ripercorre le tracce principali dell’indimenticabile Casablanca del regista premio Oscar Michael Curtiz, fonde l’eros e la psiche di due disturbati individui, trascinati con prevedibilità in un turbinio di inattesa attrazione.
Venuta alla luce la sofferente infelicità della moglie Nancy (Susan Anspach), Sam Felix (Woody Allen) si appresta ad affrontare le ostiche fasi di un non richiesto divorzio. Afflitto per la rinnovata situazione sentimentale che lo trova nuovamente single, sarà grazie all’aiuto del suo amico Dick (Tony Roberts) e soprattutto della compagna di quest’ultimo , Linda (Diane Keaton), che Sam tornerà ad immergersi nel meravigliosamente complicato mondo delle donne, per scoprire poi alla fine che l’amore è più vicino di quanto sembra.
Sarà infatti l’inappropriato nonché ricambiato interesse per Linda a mettere in crisi la già precaria stabilità di Sam, guidato da una coscienza che si fa antitesi, prendendo le sembianze e le ombre del tenebroso attore Bogart.
Ma chi vogliono prendere in giro? Io non sono fatto così, non lo sono mai stato e non lo sarò mai, questa è roba da film.
E di film che parlano di film Woody Allen ne ha realizzati molti nella propria carriera: per ricordare i maestri del passato, le stelle che hanno illuminato la sua infanzia, per omaggiare la culla della sua formazione artistica spaziando da Bergman a Fellini, unendo America ed Europa, sbeffeggiando Freud con i suoi sogni ed i russi con i loro romanzi.
Oh Sam, che belle parole…
Sono di Casablanca: ho aspettato tutta una vita per usarle.
Ed a trent’anni dal capolavoro di Curtiz, che impresse nel cuore di molti una delle più romantiche storie d’amore del panorama cinematografico, riservando così ad Ingrid Bergman e ad Humphrey Bogart un posto indelebile nel luminoso firmamento dei divi hollywoodiani, il cinefilo Allen soddisfa uno dei suoi reconditi desideri tramutando i sogni da appassionato in pellicola, creando una commedia acuta dalle divertenti ed indimenticabili trovate.
Regia trascurabile di Herbert Ross, basato sull’omonima opera teatrale dello stesso Woody Allen, Provaci ancora, Sam poggia le fondamenta della propria sceneggiatura sul classico film del 1942.
Quest’ultimo funge da scheletro sostenitore di un racconto sui goffi tentativi di un uomo nell’approcciarsi con insuccesso all’altro sesso, ostacolato dai molteplici sospiri di un’anima in perenne ansia e una mente in continuo fermento che finirà per innamorarsi della paranoica ed emotiva Diane Keaton, in un’embrionale analisi sui rapporti disfunzionali, la quale raggiungerà il suo punto massimo nel 1977 con il film premiato agli Oscar Io e Annie.
Con un Allen d’annata, camaleonte tra il sofisticato e il sex symbol, l’intenditore d’arte e il ballerino, ma in ogni caso fedelmente matto e psicologicamente sensibile, Provaci ancora, Sam sa far ridere ed emozionare, lasciandoci come sempre qualcosa di nuovo sulle relazioni e riaccendendo con entusiasmo l’amore per le grandi opere del passato.