Qualcuno volò sul nido del cuculo: recensione
Ci sono film che non risentono del passare del tempo e che conservano intatta la loro carica emotiva e poetica anche dopo decenni dalla loro uscita. Uno di questi è Qualcuno volò sul nido del cuculo, film del 1975 diretto da Miloš Forman, sceneggiato da Bo Goldman e fortemente voluto prima da Kirk Douglas, che acquistò i diritti dell’omonimo romanzo di Ken Kesey, e successivamente dal figlio Michael, a cui il padre lasciò la produzione. Un capolavoro immortale, fra i soli tre film (insieme a Il silenzio degli innocenti e Accadde una notte) a vincere l’Oscar in tutte le cinque categorie principali: film, regia, attore e attrice protagonista e sceneggiatura. Una pellicola dall’impatto talmente importante da indirizzare profondi cambiamenti del sistema psichiatrico in diversi stati del mondo: per esempio, fu anche grazie all’onda emozionale del film che in Italia vennero aboliti i manicomi con la Legge Basaglia del 1978. Un’opera complessa e stratificata, che va al di là della mera trama, emanando un invito alla ribellione verso chi vuole condizionare e irreggimentare la nostra vitalità.
Qualcuno volò sul nido del cuculo: un inno alla vita e alla libertà
Il nido del cuculo del titolo è un’espressione gergale americana per indicare il manicomio e più in generale la pazzia, basata sul fatto che proprio il cuculo è uno dei pochissimi uccelli che non costruisce un proprio nido, deponendo le proprie uova in quelli altrui. Proprio il manicomio e la pazzia sono gli elementi cardine su cui è basata la pellicola, che inizialmente ci mostra la tranquilla e monotona vita dei pazienti di un ospedale psichiatrico dell’Oregon, fatta di partite a carte, poche ore all’aria aperta e terapia di gruppo gestita dalla rigida e autoritaria infermiera Ratched (Louise Fletcher). La vita di questo gruppo di picchiatelli viene improvvisamente scombussolata dall’arrivo di Randle Patrick McMurphy, un teppista anticonformista e stravagante, interpretato da un incommentabile Jack Nicholson, alla più grande prova della sua straordinaria carriera. Sempre ammesso che nel film stia effettivamente recitando!
McMurphy viene mandato nell’ospedale psichiatrico gestito dal Dr. John Spivey (Dean R. Brooks) per verificare la sua presunta pazzia, ma pazzo non lo è, o almeno non clinicamente. Con il suo carisma e la sua voglia di ribellione verso le rigide regole della struttura, McMurphy diventa ben presto il leader del gruppo e sprona gli altri pazienti a risvegliarsi dall’apatia e dalla remissività su cui erano adagiati. Lo spettatore vive così con grande partecipazione emotiva le avventure di queste persone ritenute folli ed emarginate dal sistema, ma che invece “non sono più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada”, per citare un’illuminante battuta dello stesso McMurphy. In Qualcuno volò sul nido del cuculo sfila una carrellata di personaggi difficilmente dimenticabili, interpretati da attori alle prime esperienze, che in seguito diventeranno volti celebri del cinema internazionale: l’imbranato Martini interpretato da Danny DeVito (Voglia di tenerezza, L’uomo della pioggia), il burbero Taber impersonato da Christopher Lloyd (il mitico Doc di Ritorno al futuro), il timido Billy Bibit di Brad Dourif (Il signore degli anelli, Velluto Blu), lo stralunato Frederickson di Vincent Schiavelli (Ghost, Amadeus) e l’imponente “Grande Capo” Bromden, un gigantesco indiano sordomuto interpretato da Will Sampson (Buffalo Bill e gli indiani, Il texano dagli occhi di ghiaccio), con cui McMurphy instaurerà una profonda amicizia. Doveroso inoltre citare l’insicuro Harding, impersonato da William Redfield, al quale durante le riprese è stata diagnosticata una leucemia, che lo ha poi ucciso un anno dopo l’uscita del film.
Miloš Forman compie un’importante e decisiva scelta nel dipingere l’infermiera Ratched non come una persona perfida e spietata, ma come una donna di potere ciecamente convinta dei propri metodi e dell’infallibilità di un rigido sistema di regole. Il risultato finale la rende, se possibile, ancora più odiosa e inquietante, perfetta rappresentazione della miopia che spesso colpisce la classe dirigente, troppo spesso disposta a tutto pur di mantenere il controllo e persa in inutili cavilli invece di stare più vicino alla persone che dirige. Un po’ come avvenuto 4 anni prima nell’epocale Arancia Meccanica, in Qualcuno volò sul nido del cuculo con il passare del tempo lo spettatore viene messo di fronte alla totale cecità delle persone che dovrebbero curare i malati di mente, ma che nella realtà si dimostrano invece ben più folli dei pazienti, arrivando a sfruttare le loro debolezze e insicurezze per mantenere il controllo, e addirittura a utilizzare pratiche disumane di alterazione della psiche, come l’elettroshock o la lobotomia. Scheggia impazzita di questo rodato sistema per annientare l’individualità è proprio McMurphy, il quale comincia una propria battaglia personale contro l’infermiera Ratched, che si trascinerà fino alla conclusione del film. Un incontenibile Jack Nicholson dà fondo a tutto il meglio della sua mimica facciale, che si oppone alla fissità e alla severità del volto dell’infermiera, in un gioco di sguardi che a tratti ricorda quelli tipici del western. Da sottolineare inoltre che la recitazione del divo e di molti dei suoi colleghi è basata su un ampio uso dell’improvvisazione, alimentata da un periodo di prova di diverse settimane in cui gli attori hanno vissuto a stretto contatto con i reali pazienti della struttura ospedaliera in cui è stato girato il film.
Miloš Forman dirige senza particolari fronzoli, ma è comunque semplicemente perfetto nel rendere la storia con assoluto realismo, trasportando quasi fisicamente lo spettatore all’interno del manicomio. Le inquadrature sui personaggi, in particolare nelle sessioni di terapia di gruppo, scandagliano a fondo il loro animo, portandoci a vivere in prima persona il loro turbamento. La fotografia risalta l’opprimente e minaccioso pallore del manicomio, mentre le musiche di Jack Nitzsche sono il perfetto accompagnamento per le scene più emozionanti.
Tutta la vita in un film. Tutta la vita perché in questo film vengono manifestate tutte le emozioni più intense dell’uomo: l’amicizia, l’amore, la voglia di libertà; ma anche la paura, la rabbia e la vergogna. Questa toccante parabola di Miloš Forman ci affascina, ci fa sorridere, ci commuove ma ci fa anche riflettere, spronandoci a lottare, anche a costo di essere emarginati o sconfitti, per l’affermazione della nostra individualità e per non lasciare che un arbitrario sistema di regole ci imponga come vivere e cosa pensare. Se esistono film che possono aiutarci a rendere migliore la nostra vita, Qualcuno volò sul nido del cuculo è uno di quelli: lasciatevi quindi accompagnare da Randle Patrick McMurphy e dai suoi compagni in questo viaggio. Vi assicuriamo che non dimenticherete mai né questi cosiddetti folli così normali, né i loro tutori così disumani.