Roma FF18 – Quattro Quinti: recensione del documentario di Stefano Urbanetti
Il documentario presenta una realtà straordinaria e lancia un messaggio davvero importante.
È stato presentato durante la 18esima Festa del Cinema di Roma, nella Sezione Special Screenings, il documentario Quattro Quinti di Stefano Urbanetti. Un’opera prima che, attraverso il calcio, mostra il mondo vissuto dalle persone non vedenti. Il regista racconta in 66 minuti, la vita di cinque uomini italiani con disabilità visiva, tra campo di gioco, spogliatoi e quotidianità. Un gruppo di persone che il regista paragona a dei supereroi sicuramente atipici, ma avvincenti e spietatamente veri che lottano contro dei conflitti superandoli stoicamente. Sono i calciatori della ASD Disabili Roma 2000, una delle squadre di blind football più prestigiose in Italia, e una delle più vincenti, che da alcuni anni ha costruito una scuola calcio che ha contato fin da subito diverse adesioni da parte di bambini e ragazzi ipovedenti.
Che differenza c’è tra la carbonara e Angelina Jolie?
Il senso del documentario presentato da Urbanetti alla Festa del Cinema di Roma è dimostrare che una persona non vedente vive allo stesso modo di una persona vedente. Incontra delle difficoltà e ha delle sfide da superare proprio come una persona vedente. Certo, si tratta di difficoltà e di sfide di diverso genere, ma che mettono pur sempre alla prova, anche se ovviamente con gradi di disagio differenti. E così come una persona vedente, anche una persona non vedente può praticare dello sport. Non c’è nessun vincolo oggettivo, ma solo i limiti che ognuno pone a se stesso. Anzi, lo sport è tanto più importante per una persona non vedente perché – come sottolineano gli stessi protagonisti di Quattro Quinti – l’attività sportiva eleva la vita di una persona e per un disabile, abituato a lottare quotidianamente, questa elevazione è fondamentale. Libera, il calcio, e permette di non sentire la propria disabilità. È l’unico sport in cui questo è possibile.
Lo sport come metafora di vita e strumento di emancipazione
Ma da dove nasce l’idea di documentare la storia di una squadra di calcio per persone non vedenti? La risposta la dà lo stesso regista Stefano Urbanetti. “L’idea del film nasce da un incontro casuale con un giocatore, poi diventato uno dei protagonisti del film, oltre che mio grande amico, Jacopo Lilli. Il film ha avuto una genesi lunga e tribolata, diventando nel corso del tempo qualcosa di indistruttibile, come un piccolo e resistentissimo bonsai“. Si può prendere in prestito questa espressione – piccolo e resistentissimo bonsai – e applicarla alle vite dei protagonisti di Quattro Quinti, che lottano con forza e coraggio (ma anche allegria e gioia) sul terreno di gioco e nella vita. Il documentario testimonia proprio questo aspetto fondamentale.
E il calcio diventa metafora di questo lotta, oltre che veicolo per rompere i pregiudizi che circolano attorno alla cecità. Il calcio permette di superare ogni barriera. Di più: il calcio permette ai ragazzi protagonisti di Quattro Quinti (e a tutte le persone che lo praticano) non solo di superare le barriere, ma di vincerle e di abbatterle, perché nel calcio per non vedenti un calciatore segna il proprio gol contro un portiere vedente. Per cui una persona che ha quattro sensi ne batte un’altra che di sensi ne ha cinque. Il senso di libertà offerto dal calcio e di realizzazione personale è ovviamente uno strumento di emancipazione e di integrazione straordinario per una persona non vedente o ipovedente: lo testimoniano le parole dei protagonisti del documentario che, come il giovane Valerio Arancio Febbo, si sono resi conto di non avere più paura di niente.
Quattro Quinti: valutazione e conclusione
Quattro Quinti di Stefano Urbanetti meriterebbe grande visibilità. E grande visibilità meriterebbero soprattutto le realtà del blind football per il ruolo sociale che hanno. Le persone non vedenti vivono, seppur con difficoltà diverse, allo stesso modo delle persone vedenti e possono raggiungere gli stessi obiettivi. Il documentario di Urbanetti è una straordinaria testimonianza in questo senso: libertà, emancipazione, elevazione. Lo sport regala emozioni uniche a ogni persona e a qualsiasi livello lo si pratichi. Non resta quindi che augurarsi che sempre più persone con disabilità si avvicinino a realtà come quella raccontata da Urbanetti in Quattro Quinti e che sempre più realtà di questo tipo nascano sul territorio.