Quel che conta è il pensiero: recensione del film di Luca Zambianchi
Quel che conta è il pensiero è il primo lungometraggio del regista bolognese Luca Zambianchi è una commedia girata con pochi mezzi ma con la grandissima consapevolezza dei tempi che corrono, e che ancora fatichiamo a trovare sul grande schermo mainstream.
Quel che conta è il pensiero è una commedia dolceamara notevole e un esordio al cinema promettente. Questa è la sensazione che si ha alla fine della visione del primo lungometraggio di Luca Zambianchi, regista bolognese classe 1992, esordiente sì nel lungometraggio ma navigante ben equipaggiato nell’ambito del cortometraggio – Il ballo, Lo spettatore, Solitudine on demand, American Tales – che gli ha senz’altro permesso di sperimentare e di ricercare una propria narrazione, delineando uno stile che, pur essendo ancora acerbo, è tuttavia presente. Il film prodotto dalla Henry White Films è stato presentato fuori concorso al XIX Festival del Cinema di Porretta Terme, vincendo il Premio Passo lungo per esordienti al 71° Italia Film FEDIC, il riconoscimento Registi del futuro attribuito da Sedicicorto International Film Festival; inoltre ha ricevuto una Menzione Speciale attribuita da CineOff-Festival di Cinema Indipendente. Insomma, arriva al cinema con un percorso di riconoscimenti meritati e che non sorprendono, date le potenzialità della materia narrativa che emergono del film.
Distribuito da Trent Film, il lungometraggio è nelle sale cinematografiche il 26 Maggio 2022.
Quel che conta è il pensiero: la trama del film di Luca Zambianchi
Giovanni (Luca Zambianchi) è uno svogliato studente di Medicina, che si trascina a fatica studi ed esami. A caratterizzarlo è uno stato di disorientamento ed un senso di inadeguatezza nei confronti delle relazioni, dello studio e della vita in generale. Dal carattere più leggero e con un obiettivo più chiaro è Michele (Michele Petrini), coinquilino di Giovanni che studia Giurisprudenza e fatica ad avere una relazione che vada oltre qualche incontro occasionale. In realtà una direzione a suo modo ce l’ha anche Giovanni: mettere in scena a tutti i costi il suo spettacolo teatrale Lavanderia da Sigmund, che ironizza e riflette sul pensiero dei più grandi filosofi della storia.
Giovanni e Michele sono diversi, ma uniti da uno stato di incertezza che in diversi settori della vita pervade prima l’uno e poi l’altro. Ad aggiungersi a loro è Asia (Alessandra Rontini), che diventa la terza coinquilina cercata a lungo dai ragazzi per ammortizzare le spese: alla ragazza Giovanni non appare per niente indifferente, non nascondendo di provare una certa curiosità nei suoi confronti. Peccato che Giovanni non si senta pronto neppure per andare oltre un casuale appuntamento.
Un lungometraggio low budget, le cui imperfezioni vengono oscurate da una sincera ricerca della verità
Quel che conta è il pensiero è un film realizzato con pochi mezzi e fondi: la sua manifattura artigianale salta subito all’occhio, ma è così immediata l’empatia, la comprensione e il riconoscimento che proviamo verso i personaggi da poter mettere da parte questa componente. Perché se pensiamo solo che il regista Luca Zambianchi, che non solo scrive e dirige ma si occupa anche del montaggio e della fotografia nonché dell’intero apparato organizzativo, ci rendiamo conto di quanto sia la necessità espressiva ad essere la chiave di lettura corretta e appassionante di questa opera. La stessa necessità che ha reso poi grandi quei registi che il cinema lo facevano a due mani, dando assoluta priorità allo spettatore piuttosto che ad un esercizio stile, sano e naturale purché non prevarichi l’essenza dell’opera stessa.
Difficile dire in quale personaggio in particolare ci si riconosca, perché in ognuno di loro c’è quello stesso spaesamento che perseguita i nostri tempi: i perché talvolta anche logorroici di Giovanni, la leggerezza necessaria di Michele che stempera la drammaticità ma spesso fa a botte con un senso di insensatezza e la curiosità di Asia, che prova ad infondere coraggio attraverso gli altri a se stessa. Sensazioni e consapevolezze raccontate nell’impasse universitario tra la laurea e la vita lavorativa, tra la lunga adolescenza che ancora regala la bambagia universitaria e la vita adulta.
Quello che manca attualmente al panorama variegato della commedia italiane è proprio un racconto così vero, sincero e autentico dove ci si senta davvero rappresentati: perché la soluzione nessuno ce l’ha, ma il cinema, da sempre catartico, nasce anche per raccontare e stimolare una visione ancorata al presente, anche per dare voce – come i filosofi de La lavanderia da Sigmnund – ad una generazione di millennial costretta ad indossare una biancheria del presente che sta troppo stretta, non abbastanza grande per contenere tutti quei sogni, speranze e desideri, quelle possibilità che ci hanno fatto credere essere alla portata di tutti e per tutti.
E Luca Zambianchi, il cui sguardo si identifica con quello di un Giovanni che ricorda un Nanni Moretti 2.0, ha il coraggio di provare davvero a dare spazio a quella generazione, cui è stata regalata la possibilità di sognare anche l’impossibile per poi scoprire che il dono ricevuto molte volte è solo un marchingegno bello a guardarsi, ma senza libretto di istruzioni.
Una commedia dai dialoghi arguti e intelligenti, malinconica, sinceramente vera e che non offre soluzioni alle nostre incertezze se non una cullante certezza: che in giro per fortuna c’è ancora chi sogna e fatica per quel cinema che nasce dal bisogno e dall’esigenza creativa nuda e cruda di interrogarsi sul presente e su se stessi.