Radioactive: recensione del biopic su Marie Curie
Il 15 luglio debutta on demand e in streaming il biopic sulla vita della scienziata Marie Curie, interpretata nel film da Rosamund Pike. Diretto dalla regista Marjane Satrapi, Radioactive è un biopic a tratti ambiguo, che parla all'attualità.
Molti film stanno condividendo la stessa sorte, un’anteprima on demand nel ritardo dell’uscita sul grande schermo. Anche Radioactive, biopic sulla vita della scienziata – due volte premio Nobel – Marie Curie, fa il suo debutto sulle principali piattaforme digitali streaming e on demand il 15 luglio. Diretto dalla regista Marjane Satrapi, il film è basato sul libro illustrato di Lauren Redniss.
La trama di Radioactive
Nella Francia di fine 1800, a Parigi, la giovane scienziata Marie Sklodowska (Rosamund Pike) lotta contro i pregiudizi della società accademica per un posto in laboratorio che le permetta di continuare le sue ricerche. L’icontro con il collega scienziato Pierre Curie (Sam Riley) segna il suo futuro: è insieme a lui che Marie porterà avanti la ricerca che permetterà loro di scoprire due nuovi elementi, plotonio e radio. Tra i due, però, c’è anche l’amore e presto Marie diventa la signora Curie. Il loro è un legame viscerale, unito dal sentimento profondo e dalla dedizione totale alla scienza, che si manifesta in modo più marcato nella vita e nelle attitudini di Marie. Due premi Nobel, ma una felicità della conoscenza offuscata dalle conseguenze drammatiche che la scoperta delle radiazioni ha sulla vita personale di Marie e di chi le sta intorno.
Un biopic inconsueto, un’apologia di cui non si sentiva la necessità
Marie Curie è famosa internazionalmente per essere stata tra le poche donne dell’epoca ad avere ricevuto meriti scientifici e la sola ad aver vinto ben due premi Nobel per le sue scoperte sensazionali in materia di chimica. Eppure, secondo lo sceneggiatore Jack Thorne e la visione della regista Marjane Satrapi (nota soprattutto per il film Persepolis) il mondo di oggi aveva bisogno di assistere a un’apologia della scienziata a difesa di misfatti della quale la Curie non ha alcuna colpa. La stranezza è che si sia avvertito il bisogno di girare un biopic che inizia come tale, ma che poi si discosta per ampi tratti dalla narrazione del lavoro di Marie Curie e dal mostrare la sua affascinante dedizione alla scienza (a tal punto da dormire ogni notte stringendo tra le mani una fialetta radiottiva) per sottolineare invece le conseguenze a dir poco devastanti che la scoperta del fenomeno della radioattività ha avuto nella vita umana. Con salti temporali in un futuro impossibile da prevedere alla scienziata polacca, il film mostra i disastri di Chernobyl, la bomba atomica e la tragedia di Hiroshima. Questo viene alternato alle scene di vita di Marie Curie che già allora ha fatto i conti più del dovuto con le conseguenze nocive della radioattività ammalandosi lei stessa e perdendo anche l’amato marito Curie.
A questa sorta di senso di vergogna che la protagonista sembra dover provare – da qui la necessità di scusarsi e di farne un’apologia per un uso scellerato della sua scoperta di cui lei non poteva che esserne del tutto ignara – viene contrapposto il carattere forte e determinato di lei. Il punto di forza del film è sicuramente la figura tenace, a tratti individualista, di Marie Curie. Rosamund Pike svolge un lavoro eccellente interpretando la scienziata con il giusto piglio e ritraendola come una donna di polso che pone la scienza come sua priorità assoluta. Da una parte questo suo carattere prepotente, che non esita a far sentire la propria voce contro un mondo accademico che vorrebbe stesse in silenzio – interessante la battuta in cui Marie dice di essere affascinata dalla scoperta che il radio è un elemento che “non si comporta come dovrebbe”, in cui emerge il paragone con la sua stessa indole – dall’altra, invece, l’irrazionalità contro cui non vuole cedere ma che affiora nei momenti di sconforto della sua vita. Perché mai nelle scene finali viene mostrata una Marie Curie in preda al panico, al rimorso, che attraverso viaggi metafisici “prevede” le catastrofi delle radiazioni e che si rifugia nello spiritualismo malgrado sia tutto ciò che ha sempre rifiutato in vita? Non appare chiaro il motivo dietro questa scelta stilistica e di sceneggiatura che altera la natura del personaggio assunta durante tutta la prima parte del film.
L’interpretazione di Rosamund Pike di Marie Curie è dunque anche un inno al femminismo, più volte ripreso nel film, ma anche la qualità migliore di Radioactive. La fotografia che accompagna le scene è quella fredda e bluastra con cui si è soliti rappresentare la Parigi e la Francia di fine ‘800, ma che si mantiene per tutta la durata del film, illuminata dal verde dell’elemento radioattivo che a tratti pervade ambienti e volti. Marjane Satrapi dipinge un quadro un po’ ambiguo in questo biopic, dove attinge a vari temi sforzandosi di far parlare dell’attualità un personaggio del passato. Lo spettatore ne esce un po’ confuso: a Marie Curie il merito di essersi fatta un nome nella scienza nonostante il suo essere donna e anche quello di aver contribuito alla scoperta che le radiazioni possono essere utili nella cura contro il cancro e per i raggi X (la parte finale del film mostra come Marie Curie e la figlia abbiano salvato numerosi soldati della Prima Guerra Mondiale da inutili amputazioni grazie all’uso della radiografia), ma… è come se tutto finisca con un gigantesco “ma”, che allude al lato oscuro della sua scoperta. Non dovrebbe esserci alcun avversativo, ognuno è responsabile di sé e delle proprie azioni, la scoperta scientifica di Marie Curie è da stimare per i suoi meriti e il suo personaggio storico non dovrebbe in alcun modo doverci delle scuse. Da guardare? Nella sufficienza, ma probabilmente lo apprezzerete solo se siete fan di Rosamund Pike.
Radioactive è disponibile dal 15 luglio su Sky Primafila, Amazon Prime Video, CHILI, Google Play, TIMvision e Apple TV.