Roma FF17 – Rapiniamo il duce: recensione del film Netflix
Il film, nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2022, è citazionista e molto canonico, divertendo senza rotture di schemi.
Rapiniamo il duce è il nuovo lungometraggio Netflix diretto da Renato De Maria (La prima linea, Caterina Caselli – Una vita 100 vite) con la sceneggiatura dello stesso cineasta in compagnia di Federico Gnesini (Lo spietato, Italian Gangsters), Valentina Strada (La mezza stagione, Rosy Abate 2). La realizzazione, al confine tra commedia e dramma, racconta la storia di un furto immaginario ai danni di Mussolini, sul finire della seconda guerra mondiale, ispirandosi al reale tesoro che il Duce e i gerarchi provarono a portare in Svizzera, l’oro di Dongo.
Un progetto che trova nella piattaforma streaming il luogo perfetto di destinazione: un titolo per nulla impegnativo, divertente e conciso che però rimane imbrigliato in una struttura fin troppo classica e canonica. Da apprezzare, invece, all’interno della pellicola, il buon equilibrio tra generi e le interpretazioni dei personaggi. Rapiniamo il duce, prodotto da BiBi Film, viene presentato in anteprima durante la 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public che racchiude tutti titoli mainstream pensati per il grande pubblico, per poi arrivare sul servizio streaming della N rossa a partire dal 26 ottobre 2022.
Rapiniamo il duce: quando Bastardi senza gloria incontra Freaks Out
Rapiniamo il duce si apre sulle note di Se bruciasse la città di Massimo Ranieri, una scelta musicale totalmente schizofrenica dal punto di vista temporale (il brano è del 1969, il film è ambientato nel 1945) ma è un leitmotiv funzionale che è appartiene ad una precisa dichiarazione d’intenti del progetto, ovvero un citazionismo esplicito e sempre coinvolgente. Difficile quindi non pensare a ciò che è stato fatto da Mainetti con Freaks Out, dove a Roma, in piena seconda guerra mondiale, il nazista Franz si esibiva al piano proponendo Sweet Child O’ Mine, avvicinando il 1943 al 1987, anno di uscita dell’album d’esordio dei Guns N’ Roses, Appetite for Destruction.
Andando più a fondo, è proprio il buon Quentin Tarantino, che ha fatto del citazionismo il suo tratto distintivo cinematografico, il principale ispiratore dello stile registico e narrativo del lungometraggio di De Maria. Il cineasta italiano, mai troppo velatamente, ci ricorda i richiami al tanto amato autore americano: dalla caratterizzazione fumettistica e sagace della banda, ai primi piani che guardano direttamente in macchina, da una storia che sembra riproporre in scala nostrana Bastardi senza gloria a quel sottile confine tra commedia e dramma così tanto ben calibrati.
Proprio quest’equilibrio è senza dubbio uno degli elementi più riusciti del film. Da un lato il lungometraggio riesce a intrattenere il pubblico con leggerezza attraverso trovate molto simpatiche perché adatte al contesto e divertenti in quanto anacronistiche; dall’altro, invece, la dimensione drammatica emerge in qualche punto saliente del progetto, ricordandoci il triste teatro di guerra che accoglie con freddezza e violenza i nostri protagonisti. La banda di ladri, che ha l’ardore di tentare un colpo diretto al regime fascista, è l’anima vera e propria dell’intero titolo senza la quale sarebbe tutto perduto.
Come tutti i classici heist movie, anche in questo caso è fondamentale la caratterizzazione dei protagonisti e la relazione che intercorre tra i vari membri della squadra e il cast scelto non delude per nulla le aspettative. Il capo banda, nome in codice Isola, è un Pietro Castellitto esagerato, febbricitante ma geniale; al suo fianco troviamo una seducente Matilda De Angelis, la femme fatale Yvonne; il classico mentore caotico e burbero, un Tommaso Ragno sempre più a suo agio nei ruoli da cattivo; a completare il team, il dinamitardo Molotov (Alberto Astorri), la ladra (che ha il volto di Coco Rebecca Edogamhe), “l’hacker” Amedeo (Luigi Fedele) e un glorioso pilota della Mille Miglia (Maccio Capatonda).
Rapiniamo il duce: un heist movie che non riesce ad andare oltre
Proprio quest’ultimo personaggio non è per nulla da sottovalutare: se infatti gli altri compagni di furto, per quanto siano scritti sufficientemente, ripropongono schemi narrativi già visti e rivisti, nel caso del pilota incarnato dal famoso comico abruzzese si va oltre. Ci troviamo di fronte alla vera chiave di volta della storia, una figura eversiva che racchiude un caos positivo e che al tempo stesso ingloba l’originalità tanto agognata dall’opera. Per questo motivo, tale membro della squadra diventa un vero e proprio elemento fondamentale del titolo, ma non così tanto invadente da attrarre tutta l’attenzione su di sé: la sua irriverenza e sagacia, non sono così tanto opprimenti all’interno dell’opera.
Rapiniamo il duce, sia dal punto di vista narrativo che registico, rimane purtroppo inglobato in uno schema che fatica a scrollarsi di dosso: è sprovvisto di quell’ardore e di quella follia artistica che avrebbero reso il progetto non un semplice clone o copia – ben eseguita sia chiaro – di altri titoli collegati per genere e ambientazione bellica, ma un film con un’identità ben precisa. Guardando il lungometraggio e studiando la scrittura ci si accorge che è stato fatto un ottimo lavoro preventivo di analisi e studio della fattibilità del prodotto, lasciando da parte però la scintilla emotiva che spesso fa la differenza nel mondo della settima arte.
Tornando brevemente al copione, si evidenzia inoltre una trattazione piuttosto frettolosa e superficiale del tema storico, che appare troppo di sfondo, sembrando più un pretesto che una leva narrativa fondante. La suggestione e fascinazione che la seconda guerra mondiale ispira nell’universo artistico, in questo caso, non è più che una mera superficie bianca e solida dove viene sviluppata la storia della pellicola. Proprio per questo motivo, le connessioni con la svolta italiana del conflitto nel 1945, che ha visto la rocambolesca fuga di Mussolini e dei suoi gerarchi in Svizzera, sono solamente dovute al contesto, ma non hanno una reale importanza ai fini del progetto.
Rapiniamo il duce è un buon progetto che sa rubare molto bene dai capolavori del genere heist movie, dal cinema tarantiniano e persino da una recente pellicola italiana. Il risultato è gradevole e divertente, perfetto per il pubblico di massa, ma mancante di una dose fondamentale di tensione cinematografica, ma anche di un pizzico di sperimentalismo rivoluzionario che avrebbe sicuramente fatto la differenza. Se la regia è citazionista in modo brillante, la sceneggiatura tratteggia dei personaggi riusciti, ma fin troppo legati ai modelli di riferimento con l’eccezione del folle campione di automobilismo impersonato da Maccio Capatonda.