Rebel Moon – Parte 2: La sfregiatrice – recensione

Il secondo capitolo dell'epopea fantascientifica, conepita per Netflix, da Zack Snyder.

Approda su Netflix il 19 aprile 2024, la seconda parte della saga epico-fantascientifica intitolata Rebel Moon – Parte 2: La sfregiatrice, ideata, scritta (insieme a Shay Hatten e Kurt Johnstad), fotografata e diretta da Zack Snyder.

Rebel Moon - Parte 2: La Sfregiatrice

La vicenda riparte da dove era finito il primo film. Kora/Arthelais, soldato rinnegato di un Imperium galattico (il Mondo Madre) intento a opprimere l’universo col suo pugno di ferro, ha radunato altri quattro guerrieri ribelli per difendere Veldt, il villaggio/pianeta di contadini finito sulla lista nera dell’impero. Insieme a Gunnar, contadino che li ha accompagnati nel viaggio e con l’aiuto di un robot fedele al precedente re, i guerrieri ribelli addestrano gli abitanti di Veldt e organizzano una strenua resistenza contro le truppe imperiali, guidate ancora una volta dal redivivo e sfregiato Noble, sadico ammiraglio che sembra essere l’anello di congiunzione tra un trapper e la parodia di un nazista.
Il primo capitolo era una selva di citazioni e riarrangiamenti di situazioni e personaggi di film cari a Snyder. In particolar modo si potevano scorgere echi fordiani, del cinema di Vidor, Boorman, Milius, Jackson, Leone ed Eastwood. Ma i riferimenti più palesi ed esibiti erano alla saga di Star Wars e a I sette samurai ( Kurosawa, 1954). Quest’ultimo ripreso sia nella forma originale, che in quella di prodotti derivativi come la versione western, I magnifici sette (Sturges, 1960) e soprattutto quella anime fantascientifica, Samurai 7.


Il secondo capitolo della saga estremizza l’omaggio a Kurosawa, fino a diventare nient’altro che una sorta di remake sci-fi della seconda parte del chambara giapponese. Ma il problema dell’opera in questione non risiede tanto nella poca originalità della scelta – diciamo che questa storia del villaggio difeso da sette ronin, desperados o quel che è, inizia a essere un po’ logora – quanto nella rielaborazione della storia, filtrata dalla poetica snyderiana stessa.

Rebel Moon – Parte 2: La sfregiatrice: la poetica snyderiana

Snyder, con buona pace di alcuni critici, è infatti un autore a tutti gli effetti, dotato di una poetica precisa. Il nostro ha costruito una filmografia ben riconoscibile, fatta di scelte stilistiche sicuramente pacchiane, ma altrettanto specifiche e di un uso del linguaggio filmico molto personale. Attenzione, questo non significa che faccia per forza dei bei film o dei film tecnicamente ineccepibili. Per esempio, spesso, i raccordi di montaggio, nel suo cinema, non tornano e i vari salti di campo sono funzionali solo a creare effetti di confusione sensoriale, privi di qualsivoglia valore narrativo – tanto per citare alcuni difetti presenti anche in questo Rebel Moon – Parte 2. Semplicemente Snyder porta avanti una visione ideologica specifica, legata all’esaltazione eroico-randyana dell’individualismo liberista, che si adatta alla perfezione a questa sua estetica patinata, tonitruante e autocompiaciuta.

Rebel Moon - Parte 2: La Sfregiatrice

In questo capitolo della saga, forse ancora più che nel primo, le immagini create da Snyder si danno come icone iperrealiste improntate sulla centralità della figura umana, intesa come eroica, che domina il mondo circostante. Si tratta di quadri in cui spesso la luce del sole appare artificiale, esasperando contrasti luministici ed effetti misticheggianti derivati dall’uso creativo dei flare e della sfocatura radiale. La luce di Snyder in questo film, insomma, è una luce naturale che diventa artificialmente divina, luce magica che definisce forme e stabilisce valori morali. I buoni sono contrastati, esaltati nella fisicità, idealizzati, mentre i cattivi sono illuminati in maniera piatta, rimangono in ombra o nel migliore dei casi assumono toni pallidi e minacciosi. Eppure sono illuminati dalla stessa luce degli eroi. Appare chiaro che Snyder costruisca le immagini seguendo una metafora precisa. La luce è il cinema e il cinema è un mezzo che serve ad ingrandire, esaltare gli eroi e propagandarne i valori etici. Gli eroi quindi siano essi i guerrieri o i contadini, devono dominare lo spazio, l’ambiente in cui si muovono. Da qui l’utilizzo dei movimenti di macchina puliti e fluidi. Soprattutto da qui deriva la tendenza a privilegiare con quadri fissi, come fossero vignette di un fumetto di supereroi ipertrofici della Image anni novanta, le scene di combattimento. Allo stesso scopo di esaltare la centralità dell’azione umana, che appare eroica a prescindere che sia guerresca o lavorativa, concorre il famigerato uso snyderiano del ralenti, così come la sovrabbondanza di sfocature selettive. Il regista non lascia nulla alla libertà scopica dello spettatore. Ne dirige lo sguardo imponendo il punto di vista per ogni singola immagine. Tutto ciò ha un effetto ovviamente patinato, da pubblicità o peggio da post-propaganda. E così deve essere, poiché Snyder effettivamente non vuole offrire la propria visione del mondo come uno spunto di riflessione sulla realtà. Egli vuole che il pubblico la accetti e la faccia sua, esaltandosi con lui per le gesta di chi ne difende i principi.

Rebel Moon - Parte 2: La Sfregiatrice


In una simile assenza di profondità dell’immagine, che si traduce in profondità di pensiero, sta il difetto maggiore del regista. Allora, nonostante egli perda la prima ora del film nel tentativo di approfondire le motivazioni psicologiche dei sette guerrieri, attraverso flashback dettagliati sulle storie di ciascuno, in Rebel Moon – Parte 2 i vari personaggi rimangono dei cliché superficiali. Le relazioni fra i protagonisti non riescono a creare connessioni emotive col pubblico, poiché ogni interazione appare essere una funzione narrativa, improntata a logore formule tipiche del cinema fantasy. I mondi di appartenenza dei diversi eroi vengono costruiti su coordinate architettoniche e paesaggistiche differenti le une dalle altre, nel tentativo di offrire un world building vario e complesso, eppure l’appiattimento estetico derivante dalle tecniche filmiche descritte, ne riduce la potenza visiva e riconduce tutte le soluzioni scenografiche a una stessa matrice omologante.

Ribelli randyani

Inoltre se in pellicole come L’alba dei morti viventi (2004), Batman V Superman (2016) o Watchmen (2019) il regista era riuscito a eliminare dalla trama tutte le complessità ideologiche delle opere originali, per sostituirle con la propria (odiosa, per chi scrive) visione randiana/eroica, in quest’ultimo lavoro il giochetto non riesce. L’ombra dell’umanesimo di Kurosawa incombe. L’epica dell’esaltazione del liberismo individualista che permette all’uomo di raggiungere la felicità grazie al proprio lavoro/abilità e l’esaltazione del superomismo volto a difendere una simile concezione è presente – solo una simile lettura spiega il tempo dedicato dal regista alla mietitura del grano, con echi involontariamente parodici della propaganda fascista. Essa però confligge e non trova soluzione di continuità con la mistica dei guerrieri disinteressati e dell’unione fra personaggi appartenenti a classi sociali diverse. Ne I sette samurai tutto funzionava perché l’eroismo dei protagonisti non era motivato da vendetta o individualismo, ma dalla messa in questione del sistema feudale cui appartenevano, da una nuova interpretazione di quel codice etico-comportamentale, semplificato dal termine Bushido, che è radicato nella millenaria cultura nipponica. I contadini non erano belli, biondi e buoni, ma brutti sporchi e resi a volte cattivi dalle circostanze.

Rebel Moon - Parte 2: La Sfregiatrice

Kurosawa da uomo che aveva riflettuto sulla tradizione marziale e sulla necessità – all’opposto del pensiero egoistico randiano – della solidarietà umana, sapeva bene che il mondo non si costituisce attorno a conflitti manichei, ma è caratterizzato un lento fluire verso un futuro, le cui coordinate vanno disegnate momento per momento. Si può accettare il cambiamento, spingendo per un miglioramento o rimanere arroccati allo status quo. I sette samurai, fa un’operazione culturale grandiosa nell’inserire l’epica guerriera all’interno del movimento verso il progresso – Mishima per esempio propugnava idee ben diverse e più in linea con la tradizionale visione militare.

Rebel Moon – Parte 2: La sfregiatrice – valutazione e concluisioni

Snyder, in Rebel Moon – Parte 2, cercando di riproporre, nel 2024, una costruzione epica simile a quella del capolavoro di Kurosawa, si trova spaesato, perché non trova altri riferimenti nella propria tradizione culturale se non l’immaginario pop e la propaganda neoliberista sull’etica del lavoro. Usa così il materiale narrativo di Kurosawa per costruire un pastiche cinefilo volto all’esaltazione di un eterno status quo da ristabilire. I suoi guerrieri lottano sì per difendere il villaggio contro l’impero. Ma si tratta di un impero corrotto a causa dell’assenza di una legittima principessa che, riportando una pace concessa dai potenti, avrebbe potuto permettere ai subalterni di continuare ad essere un ingranaggio della macchina economica imperiale, basata sul libero mercato. Lo shogunato di Kurosawa e il corrispettivo sistema feudale erano invece descritti come irrimediabilmente ingiusti. I sette samurai lottavano per distruggere un passato di oppressioni, così da garantire ai contadini la possibilità di autodeterminarsi, al di là della macchina economica feudale. Quella propugnata dai ronin di Kurosawara era una ribellione esistenziale che andava oltre i sistemi di produzione e spingeva verso una nuova concezione di umanità. I sette eroi snyderiani invece aspirando ad un tolkeniano ritorno del re – una regina, così ci si assicura il feminist washing – si confermano tutt’altro che ribelli e al massimo riconfermano un’idea di umanità già vecchia negli anni cinquanta.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

2

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