Relazione pericolosa: recensione del film Netflix
La recensione di Relazione pericolosa, il nuovo thriller psicologico targato Netflix con Nia Long e Omar Epps
Si aggiunge al già denso catalogo Netflix un nuovo thriller incentrato sulla tematica dello stalking, che va a incrementare un filone già molto seguito nel mondo cinematografico. Relazione pericolosa (Fatal Affair) vede come protagonisti Nia Long e Omar Epps – che tornano a recitare insieme dopo sedici anni da Alfie – per una storia di torbida persecuzione. Il film, diretto da Peter Sullivan e scritto dal regista assieme a Rasheeda Garner, è incentrato sul rapporto tra Ellie Warren, avvocato di successo, e David Hammond, ex compagno del college re-incontrato casualmente per motivi personali dopo molti anni. Ellie è sposata con Marcus ma vive il suo matrimonio come una relazione stanca, tanto da lasciarsi andare in una serata alcolica con David, pentendosi però subito del gesto compiuto. Questo avvenimento scatena però le ossessioni di David, il quale si dimostrerà più pericoloso e instabile di quanto la donna si fosse resa conto, iniziando un’asfissiante ossessione nei confronti di Ellie e facendo emergere passo a passo tutto il suo oscuro passato e la sua morbosità.
Relazione pericolosa è un thriller prevedibile e senza coinvolgimento
Il film di Peter Sullivan, già regista per Netflix di Secret Obsession, si rivela fin dalle prime battute un thriller anonimo e mancante di idee. La storia si sviluppa in maniera estremamente prevedibile, trascinandosi con grande fiacca tra una situazione e l’altra e non riuscendo mai ad incidere realmente. Molti avvenimenti in cui ci si imbatte nel corso della visione risultano particolarmente forzati e poco credibili, costruiti su schemi da film televisivo degli anni ’90, dove una regia stantia e senza carattere accompagna i protagonisti nello sviluppo di un intreccio privo di verve e adrenalina. Quello a cui assistiamo è un stanco melodramma infarcito da momenti di tensione di scarsa efficacia e qualche scena erotica trascurabile, che ripropone dinamiche trite e ridondanti.
La costruzione del lavoro si protrae senza sussulti particolari, dove anche i momenti previsti per trasmettere tensione non riescono a scalfire a sufficienza l’animo dello spettatore e si fatica a restar coinvolti nello sviluppo e ad entrare in empatia con i protagonisti, a causa del carattere forzato di ciò che viene proposto e del carattere monodimensionale dei personaggi. Neppure David – che come stalker antagonista avrebbe potuto avere un’ampia potenzialità – è definito infatti su un adeguato approfondimento, nonostante la scrittura avesse significativi margini per strutturarne in maniera dettagliata la psiche e il background.
Il film di Peter Sullivan non riesce a incidere mancando di spessore e originalità
Relazione Pericolosa rimane prigioniero dei propri cliché e della propria incapacità di osare e di innovare un genere che già molto ha detto negli anni, incorrendo – nonostante la breve durata – nella noia, elemento che segna il più grande limite per un thriller. Manca il coraggio di spingere sull’acceleratore sia nell’ambito della follia umana sia in quello della perversione, restando su di una superficie che non desta alcuna inquietudine e rende edulcorati tutti i passaggi chiave del racconto. La colonna sonora inoltre è costruita in maniera fastidiosa ed artificiosa, con sonorità anacronistiche sulle quali si regge tutta la ricerca della tensione. Dal canto suo il cast prova a sostenere l’onere di una scrittura piatta, ma anche la brava Nia Long – per quanto si sforzi – resta imbrigliata nelle maglie di una sceneggiatura che non permette determinati guizzi, così come accade ad Omar Epps, il quale già di per sé manca di quel necessario fascino misterioso dell’antagonista, ma risulta al contempo impossibilitato a dare le giuste sfumature ad un personaggio scritto con superficialità.
Relazione pericolosa si dimostra dunque un film fiacco e senza ispirazione, la cui visione verrà scordata poco dopo la sua conclusione e che difficilmente può essere accettato anche come passatempo. Un lavoro banale e deludente che potrebbe destare qualche curiosità per come si presenta, ma la cui visione spegnerà ogni velleità rivelandone da subito il carattere inconsistente e privo di suspense.