Renfield: recensione della commedia horror con Nicolas Cage
Renfield, o quando l'assistente di Dracula decide di ribellarsi a una relazione sbagliata. Con Nicholas Hoult, Nicolas Cage e Awkwafina, nelle sale italiane il 25 maggio 2023.
C’è un tempo per la sottigliezza, un tempo per la sobrietà e un tempo per Nicolas Cage in divisa d’ordinanza: gel, mantello e denti finti. Ironico, sono le prime cose che si notano del film e quelle su cui ci si sofferma di più, il look decadente e le pose dannatamente sopra le righe del più svalvolato istrione del cinema americano.
Anche se Renfield, regia di Chris McKay, nelle sale italiane il 25 maggio 2023 per Universal Pictures Italia, ci prova sul serio a rovesciare il punto di vista. Accantonando, per una volta, la mostruosa sete di sangue del protagonista, gettando una luce inedita sulle aspirazioni fraintese del secondo in comando, di cui nessuno si è mai preoccupato troppo e forse è tardi per rimediare. Talmente presi dal carisma sanguinolento del conte Dracula, non ci siamo accorti che il cuore del povero Renfield sanguinava, ma non nel modo che piace al conte (e a noi pure).
La formula Renfield, variazione su un leggendario tema horror che addirittura tradisce un’ombra di originalità, si preoccupa di rinfrescare l’universo vampiresco in due modi. Lavorando forte sull’atmosfera, un ibrido abbastanza sorprendente di violenza esagerata e umorismo. Ridisegnando la relazione tra i protagonisti, modernizzandola fin dove è possibile. E quindi anche quella tra Dracula e Renfield finisce per somigliare alla più classica delle relazioni tossiche, imbevuta di narcisismo, istinti manipolatori e ostilità passivo-aggressiva. Peccato si vada poco più in là dell’esposizione di un’interessante idea di scrittura. Renfield è più superficie che sostanza. Con Nicolas Cage, Nicholas Hoult e Awkwafina.
Renfield: il “famiglio” del conte Dracula vuole liberarsi da una relazione opprimente
Robert Montague Renfield (Nicholas Hoult) – l’identità si costruisce un mattone dopo l’altro a partire dal nome – ha le sue ragioni per avercela con il conte Dracula (Nicolas Cage). Comprensibile; avvocaticchio da strapazzo con ambizioni tutto sommato nella norma, in Transilvania cercava una solida operazione immobiliare con cui sistemare decentemente la famiglia. Il problema del protagonista è di non essersi soffermato troppo sui pregressi del danaroso cliente. Ad averlo saputo in anticipo, di fare gli interessi del Principe delle Tenebre, si sarebbe magari regolato con maggiore prudenza, ma si sa come vanno queste cose. E così, per essersi fidato del vampiro sbagliato, il nostro perde tutto: casa, famiglia, anima. In un senso brutalmente letterale.
Ridotto a fare il famiglio del conte Dracula. Per i poco esperti, non c’è niente di male, è l’assistente personale del vampiro; a differenza del vampiro, trae la sua forza dagli insetti, non dal sangue. Per come ce la racconta Renfield, quella del famiglio è una vita davvero desolante. Manipolato, inibito, frustrato, separato da qualunque cosa somigli anche solo un po’ al calore umano, sempre in giro a cercare sangue fresco con cui sollazzare gli appetiti (voraci) del padrone. Perché Dracula, oltre a essere un mostro, è anche un insopportabile gourmet. E non gli basta sangue qualunque, no, lui vuole sangue giovane. E dunque innocente. Puro. Turisti ignari, suore, cheerleader soprattutto; vagamente inappropriata come soluzione, fa notare Renfield. A differenza del padrone, ha capito di trovarsi nel XXI secolo.
Se le cose stanno così, non c’è dieta a base di insetti che tenga. Il tempo di Renfield è il nostro presente, il dove è New Orleans. I protagonisti, reietti e vagabondi, non c’è angolo del globo da cui non siano stati scacciati, cercando riparo in un casermone fatiscente. Il conte è malato, gli serve più sangue del solito. E Renfield non ce la fa più. Non ne può più delle continue umiliazioni, della perenne insoddisfazione, delle ali tarpate. Partecipa a sessioni di terapia di gruppo insieme a gente nella sua stessa condizione, perché si rende conto di aver sprecato un secolo della sua vita di famiglio nelle trappole di una relazione abusiva e ora vuole uscirne. Ci proverà seriamente, con l’aiuto di una tostissima e onesta poliziotta, Rebecca, (Awkwafina), che vuole farla pagare per la morte del papà al terribile Teddy Lobo (Ben Schwartz), narcotrafficante e re della città, la polizia nel libro paga della mamma (Shohreh Aghdashloo). È con loro che Dracula farà comunella dopo il “tradimento” di Renfield: vuole i pieni poteri (anche lui) e magari una gang di malviventi gli darà quello di cui ha bisogno, dal momento che della servitù d’oggi non ci si può proprio più fidare.
Un film che si accontenta della superficie delle cose
“Salve, mi chiamo Renfield e ho un problema” e nella battuta che è anche un pitch (presentazione) notevole, emergono le potenzialità del film ma anche i suoi limiti. Non solo il protagonista sogna l’emancipazione da un rapporto di co dipendenza. Vale per Rebecca, letteralmente infestata dal fantasma del padre morto, per Teddy e la mammina narcos molto viva e per nulla disposta a farsi da parte. Renfield affronta la questione dall’angolazione giusta, ricordandoci di non guardare solo al manipolatore, ma anche al manipolato. Finiamo invischiati nella tossicità di un un certo tipo di relazioni spesso volontariamente, perché è più facile perdersi nel controllo altrui che rivendicare un ruolo da protagonisti. La storia di Renfield e Rebecca ci appartiene, con tutte le sfumature del caso. Guardare in faccia la realtà, superando la retorica vittimista, è il modo per risalire la china, finalmente completi e non più alla mercè delle manipolazioni altrui. Nulla di sbagliato fino a qui; il problema è che, oltre l’enunciazione di un messaggio edificante e condivisibile, il film ha poco o niente da dirci.
Chris McKay è consapevole di una parte del problema, cioè che l’immaginario horror e le dinamiche tra i personaggi hanno un passato ingombrante e quindi prova a rinfrescare il modello, “aggredendolo”. Ribalta la prospettiva, spostando il non protagonista dai margini al centro della scena. Lo costringe a ridiscutere il rapporto con Dracula mescolando paura e risate, shock fisici e afflato dissacrante. Ovviamente Nicolas Cage è nato per adattare i contorni esuberanti e sopra le righe della sua recitazione al profilo del conte Dracula, di cui replica movenze oblique, lingua insinuante e canini arroventati. Il pubblico lo seguirà con la devozione che gli ha dedicato sempre, quando se lo meritava e quando un po’ meno.
C’è del buono e molto di interessante nella poetica fragilità horror di Nicholas Hoult. Il suo protagonista è un mr. Darcy traviato dalle cattive compagnie e tradito dalle circostanze. I problemi di Renfield, a conti fatti, si colgono di più se ci sposta ai lati all’immagine. Il minutaggio insufficiente (meritava confronti più serrati con Cage), la scarsa valorizzazione complessiva di Awkwafina e della sua verve comica, fragile, arrabbiata e maledettamente efficace, racconta meglio di ogni altra cosa la difficoltà del film a sollevarsi dall’ordinario. Tante premesse interessanti, frenate da una scrittura e una regia che sembrano farsi un punto d’onore nel non rischiare nulla. Il terrore di scalfire la superficie è un limite colossale del cinema commerciale contemporaneo. Ha assunto dei contorni al limite del patologico. È questo, in retrospettiva, il vero brivido horror, altro che la pausa pranzo del vampiro.
Renfield: conclusione e valutazione
Renfield è l’ombra del film che poteva (e doveva essere), frenato dal timore di accettare la sfida rappresentata dalla complessità delle dinamiche e dei problemi affrontati. Peccato, perché l’idea di prendere una storia conosciuta da tutti e di rinfrescarla con un piglio e un battito molto contemporaneo meritava una maggiore cura nei dettagli. Un cast eccellente, che con chimica, prestigio e molto talento mantiene alta l’attenzione sulla storia. Della paura (giocosa) suscitata dal film non ci si può lamentare. Dell’efficacia complessiva dell’operazione, sì.