Resident Evil – Welcome to Raccoon City: recensione del film

Nonostante le tante qualità, il reboot di Resident Evil non riesce a soddisfare pienamente.

Resident Evil – Welcome to Raccoon City parte proprio da quella piccola cittadina avvolta nella pioggia, che sta per essere distrutta. L’Umbrella Corporation non vuole che si sappia di una terrificante epidemia che sta per diventare incontrollabile e così decide semplicemente di lasciarsi dietro morti e silenzio. Con tutto questo dovranno fare i conti la giovane e ribelle Claire Redfield (Kaya Scodelario) ed il fratello Chris (Robbie Amell), agente di polizia del Distretto.
Entrambi orfani e legati da un rapporto burrascoso, sono stati cresciuti nel lugubre e misterioso orfanotrofio della città, sotto la supervisione del Dottor Birkin (Neal McDonough). Tuttavia, assieme ad altri agenti e sopravvissuti, in breve si troveranno impegnati in una vera e propria gara contro il tempo per lasciare la città. Ma nel mentre qualcosa orrendo, terribile ed infetto semina la follia tra uomini ed animali, qualcosa di molto peggiore dell’anarchia o della paura, un morbo che tramuta gli esseri in predatori assetati di sangue. Sarà l’inizio di una vera e propria odissea, tra pioggia, tenebre e terrificanti creature.

Resident Evil – Welcome to Raccoon City: un reboot di cui nessuno sentiva il bisogno

Quando uscì per la prima volta nel 1996, il videogioco conobbe immediatamente un successo planetario, di lì a poco confermato con il primo dei tanti seguiti, che l’hanno reso il survival horror più importante della storia videoludica. Fu nel  2002 che Paul W. S. Anderson dette il via alla saga cinematografica, diventata tanto longeva, quanto ripetitiva e sempre meno interessante, che però donò a Milla Jovovich fama planetaria.
Ora però è arrivata la CapCom a dare fiducia al regista Johannes Roberts, che con questo Resident Evil – Welcome to Raccoon City, firma un b-movie che si muove fin da subito su una maggior aderenza al videogioco originale, per quello che riguarda eventi, personaggi e atmosfere.
Ambientato nel 1998, Resident Evil ha infatti un iter narrativo dei primi due videogiochi, risalenti al 1996 e al 1998, che ogni millennial ha cari nel cuore, se non altro perché iconici di un’epoca in cui la creatività regnava sostanzialmente in ogni prodotto di intrattenimento e tutto era meno prevedibile. Roberts cerca in tutti i modi di creare un film il più serio e complesso narrativamente possibile. Tuttavia bisogna dire che, fin dall’inizio, la sua creatura soffre di un ritmo a dir poco elefantiaco, stantio, pare non ingranare mai la marcia e non arrivare mai veramente ad una svolta.

Questo Resident Evil non va oltre l’omaggio

Resident Evil 4

Vi è un grosso problema di vanità in questo nuovo Resident Evil, che apparentemente vorrebbe essere semplicemente uno scanzonato b-movie, con cui omaggiare i grandi maestri del passato, dei film di genere, poi diventati mito e punto di riferimento. Non ci vuole sicuramente una laurea in cinematografia per riconoscere le tante connessioni a Romero, a Carpenter, con cui Roberts cerca di unire il più possibile la componente horror a quella action. Tuttavia emerge fin da subito un grosso problema relativo alla mancanza sia di una qualsiasi velleità ironica, o autoironica, sia di una povertà semantica. Roberts pare ad un certo punto accontentarsi di riproporre situazioni, eventi e personaggi, già visti altre mille volte, in mille altri film sicuramente in modo più creativo.
Resident Evil, prima di diventare una sorta di enorme videogioco in 3D, bisogna confessare che era stato un prodotto cinematografico anarchico e per questo gradevole, uno dei più iconici per la cultura giovanile del XXI secolo. Vi è sicuramente pochissima speranza che questo questo reboot diventi la stessa cosa. Forse in fin dei conti il mondo degli zombie non ha più moltissimo da dire o da dare.
Non siamo più negli anni ’90, non ci sono più quei ragazzi pronti ad affezionarsi ad un prodotto in modo così importante e assieme leggero, ma soprattutto ripetere il già visto funziona sempre meno.

Uno script incoerente e che si prende troppo sul serio

Resident Evil 5

Tra una citazione de La Cosa e una della saga di Halloween, questo Resident Evil nel momento in cui è chiamato a muoversi con i propri piedi, a mostrarci qualcosa di genuino, fallisce miseramente, scade nel trash, nell’americanata più classica e prevedibile.
Peccato, perché la fotografia di Maxime Alexandre è tutto tranne che inadatta allo scopo, così come la regia di Roberts in più di un’occasione regala diverse sorprese positive.
Tuttavia la trama appare incredibilmente inconsistente, spezzettata, a volte spiega troppo, altre volte invece dà tutto per scontato, non riuscendo poi a rendere mai empatici o memorabili i personaggi che abitano questo film.
Il che è un peccato, soprattutto contando che il cast comprende anche nomi del calibro di Hannah John-Kamen, Tom Hopper, Avan Jogia, Donal Logue, Neal McDonough e Lily Gao. Nessuno di loro vincerà mai probabilmente l’Oscar, ma si tratta di interpreti che si sono più volte distinti in prodotti seriali o cinematografici di genere, hanno la faccia giusta, il fisico giusto. Ma anche loro infine si ritrovano schiavi di uno script assolutamente insufficiente, che si accontenta di riproporre la mera dimensione videoludica senza aggiungere altro. In pratica ci si trova sovente all’interno di un videogioco senza potervi interagire. Quale miglior definizione di noia?

Resident Evil – Welcome to Raccoon City è al cinema dal 25 novembre 2021, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.7