Roma FF18 – Resvrgis: recensione del film di Francesco Carnesecchi
Un’operazione cinefila, che nel guardare ad Alien di Ridley Scott e Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis, pietre miliari del genere di riferimento, così come a nuovi titoli, tra i quali Annientamento di Alex Garland e The Ritual di David Bruckner, rintraccia una propria dimensione autoriale, facendo quello che nel cinema italiano raramente ci è dato osservare, ossia sfruttare sapientemente topos e linguaggi di un modello narrativo, che un tempo è stato nostro e che lentamente e sempre più coraggiosamente, torniamo a riscoprire. Alice nella città
Presentato in anteprima ad Alice nella città 2023, Resvrgis, il secondo lungometraggio da regista di Francesco Carnesecchi, dopo il discreto, La partita, interpretato da Ludovica Martino, Blu Yoshimi, Beatrice Fiorentini, Daniele Mariani e Thomas Santu, è distribuito, oltreché prodotto, da Illmatic Film Group, Beetle Film e Red Carpet.
Due gli elementi narrativi principali – o almeno così sembra – del certamente interessante film di Carnesecchi, ossia, la battuta di caccia tra vecchi conoscenti, si badi bene, non amici come invece vorrebbero apparire di tanto in tanto, e la questione del passato mai realmente elaborato, tanto rispetto a Sara (Ludovica Martino), che viene da una reclusione in carcere, conseguente un incidente d’auto, ulteriormente aggravato dall’abuso di sostanze stupefacenti, quanto alla misteriosa creatura che si aggira nel fitto dei boschi dei meravigliosi Monti Simbruini e che forse, altro non è, che un vero e proprio lupo mannaro.
Guardando agli ultimi dieci, quindici anni di cinema italiano, appare estremamente complesso, se non addirittura impossibile, rintracciare prodotti di natura puramente horror, che non siano di fatto derivativi. Perciò interessati a tutt’altra ricerca tematica e passati quasi per errore attraverso i topos e i linguaggi del genere, capaci nella maggior parte dei casi d’intimidire e produrre un immediato distacco tra ciò che sembra lecito fare e cosa invece ancora no.
Americanizzazione
Un cast giovane piuttosto ristretto, capitanato da una Ludovica Martino mai così feroce e logorata, seguita da una detestabile, perciò assolutamente funzionale, Beatrice Fiorentini, il cui personaggio, Miriam, è divorato da una rabbia inespressa e da un mostro nell’anima, che appartiene tanto a lei, quanto alla Sara della Martino, scava sempre più nel male che gli uomini fanno – e si fanno – senza mai tirarsi indietro di fronte alla cupezza, alla brutalità e perfino alla spietatezza di un film, che non guarda in faccia nessuno, cancellando ogni benché minima traccia di amicizia, amore, sollievo e speranza e raggiungendo così, una dimensione di definitiva cattiveria, decisamente sorprendente.
Appassionati e non, da molti anni a questa parte, attendevano l’arrivo in Italia, di un autore capace di lavorare, forte di un’impronta personale e di uno sguardo riconoscibile e particolare, sui medesimi concetti di terrore, angoscia, oscurità e perché no, perfino violenza, espressi fino ad oggi dal cinema horror americano, abilmente diviso tra sguardo commerciale e autoriale, ma pur sempre alla ricerca di quel genere d’emozioni forti e ansiogene, ampiamente richieste dal pubblico – generalista e non -, al di là della risata e del commozione, come accade invece nel Bel Paese.
Quel giorno è arrivato. Resvrgis, è un film che a partire dalle primissime inquadrature e sequenze, filtrate da un’estetica da videoclip piuttosto interessante, non sembra affatto volersi collocare in un panorama cinematografico unico, potendone calzare moltissimi, a partire da quello americano, certamente il più florido e saccheggiato dalle cinematografie oltreoceano e non solo, cui perfino Carnesecchi rivolge ben più di uno sguardo, e non per forza è un male.
Passando per vere e proprie pietre miliari, come Alien di Ridley Scott e Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis e titoli di un cinema nuovo sempre più contaminato in termini di genere, perciò horror, ma anche sci-fi, survival, thriller e così via, come Annientamento di Alex Garland – le nebbie metafisiche dei Monti Simbruini, ulteriormente estremizzate dalla potentissima fotografia di Gianluca Oliva – e The Ritual di David Bruckner – le ipocrisie dell’amicizia e il peso del trauma -, il film di Carnesecchi, dalla struttura narrativa nient’affatto impigrita, piuttosto ben consapevole della propria natura, passando per un inevitabile processo di americanizzazione, rende la romanità del film, un elemento assolutamente universale e fortemente debitore di stilemi che già conosciamo e che siamo soliti osservare, resi qui al loro meglio.
Resvrgis: valutazione e conclusione
Al netto di sporadiche stonature, più di tono che di linguaggio, ne è un esempio quel “… voglio la sua testa nel mio salotto” che sembra richiamare molto più direttamente un John McClane, o altrimenti un Dutch Schaefer, rispetto ad una giovane che terrorizzata da una creatura violenta e misteriosa, si ritrova a vagare nelle oscurità di boschi fittissimi e per questo potenzialmente pericolosi, Resvrgis è un film assolutamente godibile, che lavorando sapientemente sui propri limiti di budget e la rincorsa di una necessaria e ben più che motivata ambizione autoriale, centra l’obiettivo.
Ancora una volta, l’elaborazione del dolore e del trauma, passa per la paura, la violenza e l’oscurità. Resvrgis rappresenta uno step in avanti, rispetto ad una cinematografia fin troppo impaurita da questa dinamica e impigrita, da un successo commerciale garantito unicamente – o quasi – da ciò che è convenzionale e consolatorio. Carnesecchi preferisce il buio e noi con lui.