Revenger: recensione del film Netflix
Revenger è l'originale Netflix in salsa coreana, a metà tra il classico kung fu movie e il genere revenge.
Ad inizio 2019 è uscito su Netflix un nuovo prodotto originale, stavolta made in Corea, che segna un’altra tappa del colosso dello streaming nel genere kung fu movie. La pellicola in questione s’intitola Revenger e rappresenta la svolta action del regista Lee Seung-Won, reduce da due titoli molto più soft come Communication & Lies (2015) e Happy Bus Day (2017).
Nel cast regna sovrano l’ex stuntman cinquantenne Bruce Khan, che, oltre a prestare il suo fisico e la sua bravura nelle arti marziali, ha firmato anche lo script del film. Oltre lui sono presenti Hee-soon Park e Jin-seo Yoon
Revenger: viaggio nell’isola dei demoni
Nel mondo esiste un’isola sperduta, completamente allo stato brado, senza nessun segno di civilizzazione e per di più abitata dai peggiori criminali dell’Asia, condannati a passare lì il resto delle loro vite, non esattamente un luogo dove andare in vacanza. Eppure in quel misero lembo di terra ci sono anche degli esseri innocenti, come Jin, una bambina che, intenta a vendicare la morte di suo padre, fugge spesso dal villaggio nascosto dove vive con la madre, cacciandosi puntualmente nei guai.
Yul (Khan), un ex poliziotto e massimo esperto di arti marziali, viene inviato sull’isola come criminale, ma, appena sbarcato, compie il primo atto a fin di bene, salvando madre e figlia da dei brutti ceffi malintenzionati. La bambina conduce il taciturno uomo misterioso al villaggio, parlandogli della terribile tirannia del gangster Khun, che da quando arrivato è diventato il re dell’isola; è lui che ha ucciso il padre della piccola e, insieme ai suoi scagnozzi, ha costretto tutti quelli che non si sono uniti a lui a vivere nascosti.
Quello che la Jin non sà è che l’ex detective Yul è arrivato sull’isola proprio con l’obiettivo di uccidere Khul per vendicare la morte di sua figlia e di sua moglie. L’uomo scombinerà gli equilibri dell’isola e rappresenterà la speranza per una vita tranquilla per tutti gli abitanti pacifici di quel terribile posto.
Revenger: l’eroe solitario tra vendetta e redenzione
Revenger è un classico film di vendetta, l’eroe solitario va dritto per la sua strada sbaragliando tutta la banda del cattivo di turno per poi sfidarlo a singolar tenzone e trovare finalmente la pace. Il tutto condito da una dose massiccia di colpi di kung-fu, le armi del protagonista. Tutto quello che circonda l’azione muscolare è di contorno, ma sono proprio gli elementi a margine la cosa che più rende scorrevole il film, nonostante il risultato rimanga di un piattume generale costante, ma andiamo per ordine.
L’elemento di trama più significativo, oltre la triste sorte della moglie e la figlia di Yul per mano di Khun (la cui narrazione viene comunque liquidata in breve tempo), è la presenza sull’isola dei rispettivi alter eghi delle due donne, che l’eroe decide di aiutare a costo della vita, così da poter riscattare quello che non è riuscito a fare per la sua famiglia. Di fatto Jin è la reale coprotagonista della pellicola, l’unica che riesce a smuovere l’altrimenti granitico Yul.
Il coronamento di questa doppia via, vendetta e redenzione, si ha nella scena in cui il protagonista affronta i due principali luogotenenti di Khun, riuscendo a sconfiggerli e salvando la vita delle due, per poi andare da solo verso il suo destino.
Revenger: tra un calcio volante e l’altro
Nonostante la regia tenti di dare più fluidità, freschezza e di essere il più possibile accattivante, non riesce a rendere i combattimenti così incisivi e spettacolari da riempire gli occhi dello spettatore. Certo, Bruce Khan mette in mostra una forma fisica invidiabile e le varie coreografie sono senza dubbio esplosive, ma quello che richiedono dei combattimenti di massa sono delle riprese efficaci e più moderne, capaci di far respirare l’inquadratura in modo che lo spettatore possa gustarsi a pieno ciò che accade su schermo, magari anche sacrificando la velocità del montaggio e la mobilità della regia (un esempio recente possono essere le scene di lotta in Daredevil). Sembra invece che il giovane regista coreano Seung-Won si preoccupi più che altro di inserire qualche strizzatina d’occhio al cinema di Bruce Lee e, assecondato dal suo protagonista, tenti in ogni modo di far tornare alla memoria le mosse tipiche del mito del kung fu, senza riuscirci.
Revenger: tra una strizzata d’occhio a Bruce Lee e l’ironia tipica del genere asiatico
Dunque diventa interessante parlare di quello che c’è tra un combattimento e l’altro, perché è almeno curiosa la scelta di riproporre degli elementi del cinema asiatico tradizionale, quello mainstream chiaramente, quello autoriale neanche è da nominare. Gli abitanti dell’isola sono tutti alquanto variopinti e, sia tra i buoni che tra i cattivi, alcuni di loro si presentano come personaggi dei manga più che cinematografici (ricordando in questo senso L’immortale, un altro originale asiatico Netflix uscito nel 2017). Presente è anche la tipica ironia dei film coreani, che pervade soprattutto lo spirito degli abitanti pacifici dell’isola, così come la malvagità del super cattivo aleggia sul terribile Khun.
Nel complesso i circa 100 minuti di Revenger trovano un minimo di ossigeno nella figura della piccola Jin e negli intermezzi tra un combattimento e l’altro, comunque inutili al fine della trama della pellicola. La sceneggiatura è semplice, banale e comunque riesce a perdersi in qualche caso (come possono esistere uomini innocenti e pacifici in isola che esiste solo per essere abitati dai più pericolosi criminali dell’Asia?); la regia è pregna di impegno quasi disturbante per il risultato su schermo, per non parlare del montaggio: pieno di scelte assurde e francamente disturbanti. La recitazione è blanda, accennata e nei casi migliori clownesca. La fotografia è insulsa, paragonarla a quella dei B-movie è già un esercizio di fantasia. La scenografia non esiste. La parte peggiore è che il finale apre ad un possibile sequel.