Ricomincio da Taaac: recensione del film del Milanese Imbruttito

Il secondo film de Il Milanese Imbruttito, al cinema dal 26 settembre, esce a tre anni di distanza dal precedente Mollo tutto e apro un chiringuito

Il social brand che diviene cinema, l’influencer che si veste da interprete, la Milano dei cliché che prende vita; a 3 anni dall’inaspettato successo di Mollo tutto e apro un chiringuito, che nel 2021 fece registrare uno dei maggiori incassi italiani del periodo pandemico, Il Milanese Imbruttito torna al cinema con Rincomincio da Taaac, seconda pellicola realizzata dal marchio di proprietà di Shewants, creato nel 2013 da Marco De Crescenzio, Federico Marisio e Tommaso Pozza. I padroni meneghini del web, che contano centinaia di migliaia di follower (2 milioni su Facebook) ritornano, anche questa volta, sotto la direzione di Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Andrea Fadenti, Andrea Mazzarella e Davide Rossi e la produzione di Giovanni Cova per QMI, in associazione con Medusa Film e Ramaya Productions e in collaborazione con Prime Video. Grazie ad essi il film, ambientato principalmente a Milano, e in particolare nel quartiere Portanuova, ha potuto godere della realizzazione di una cittadella 100% green a “km zero”, con ambientazioni scelte in prossimità del campo base e degli alloggi della troupe, limitando così gli spostamenti a un raggio massimo di 100 metri e riducendo così significativamente le emissioni di CO2.
Il cast vede le riconferme di Germano Lanzoni, Brenda Lodigiani, Paolo Calabresi, Laura Locatelli, Leonardo Uslengo, Valerio Airò Rochelmeye e Renato Avallone, affiancate dai nuovi Maurizio Bousso, Francesco Mandelli, Raul Cremona, Martina Sammarco, Tommy Kuti e Tiberio Cosmin e da alcune guest star: Claudio Bisio, Jake La Furia, Daniele Adani, Licia Colò e lo chef Ruben Bondì.
Il film è al cinema dal 26 settembre.

Leggi anche Inter. Due Stelle sul cuore: recensione del film evento

Ricomincio da Taaac: il Signor Imbruttito di nuovo a casa

Ricominco da Taaac cinematographe.it

Tornato a Milano dopo l’infelice esperienza sarda, il Signor Imbruttito (Germano Lanzoni) vive serenamente la sua routine cittadina passando dalla casa, condivisa con il figlio Il Nano (Leonardo Uslengo) e la Wife Laura (Laura Locatelli), al suo amato ufficio, fino al momento in cui il Boss dell’azienda (Claudio Bisio) comunica ai suoi dipendenti di aver deciso di vendere tutto alla multinazionale americana Blacksun, fondata dal giovane e promettente startupper della Silicon Valley, Frank Black (Francesco Mandelli). Colto alla sprovvista dalla notizia, ma galvanizzato dall’idea di poter collaborare con gli americani, il protagonista inizia a rendersi conto delle reali problematiche nel momento in cui, a gestire la transazione, si presentano lo stravagante imprenditore Aldo Brusini (Paolo Calabresi) e il Nano in persona, introducendo i propositi della nuova proprietà, tutti puntati ad un economia più sostenibile, all’inclusività e ad una percezione del lavoro meno stressante e totalizzante.

Inizialmente l’Imbruttito rimane scioccato dalle nuove dinamiche ma, per ingraziarsi i favori dell’imprenditore, decide di fingersi aperto e disposto al cambiamento, continuando a nascondere la sua vera natura avversa a questo nuovo approccio (sociale oltre che lavorativo). L’invitabile smascheramento diviene quindi causa di disgrazia portando con sé, prima il licenziamento, contemporaneo alle promozioni del Giargiana (Valerio Airò Rochelmeyer), dello Statale (Renato Avallone) e dell’Imbruttita (Brenda Lodigiani), poi la perdita della famiglia e della casa.
A salvare l’uomo rimasto solo e senza più un soldo è il rider Martin (Maurizio Bousso), lo stesso rider con cui egli aveva precedentemente discusso e che, per una spiacevole battuta a sfondo raziale, aveva causato il suo licenziamento. La risalita del Signor Imbruttito parte quindi dal solidale sostegno di Martin e dei suoi inquilini inizialmente diffidenti, dalla riscoperta dell’umiltà del lavoro e da un lento ma agognato riavvicinamento alla famiglia.

Imbruttimento da comfort zone

Germano Lanzoni cinematographe.it

Ricomincio da Taaac riprende quel tono sarcastico proprio del brand da cui trae origine ma, configurandosi come la rappresentazione di uno scontro, di una trasformazione, di un passaggio dal prima al dopo e di un passaggio dalla chiusura conservatrice del protagonista all’apertura rivoluzionaria voluta dai nuovi capi, porta con sé il tema dell’ironia smaccata come suo aspetto primario, a confronto costante con momenti di satira sociale e di scavo introspettivo che vanno più in profondità, che putano la luce su tematiche attuali e, seppur scontante, sempre necessarie.
Ricomincio da Taaac è quindi un film di contrasti, di evoluzione, un film di formazione, che non forma il giovane bensì l’uomo, troppo ancorato alla sua giovinezza e ad un realtà ora estremamente mutata. Egli ha bisogno di toccare il fondo, di vedere tutto sgretolarsi, per poter risalire e puntare più in alto, per ricostruire tutto e farlo con basi ben più solide.

Ricomincio da Taaac: valutazione e conclusione

Uno degli aspetti migliori del film è sicuramente il fatto che ciò che viene raccontato e proposto come “nuovo” approccio alla vita e alla condivisione, è stato effettivamente voluto e ricercato dalla produzione anche durante la realizzazione stessa della pellicola, con un’attenzione massima ai bassi consumi e alla sostenibilità. Addentrandoci nel girato vero e proprio invece, fatichiamo a definire l’opera come interessante o necessaria, ma probabilmente la sua necessità, come quella di molte altre produzioni nostrane spesso ai gradini più alti del box office, è quella di portare tematiche giuste, attuali e totalmente condivisibili, con un tono molto leggero e con volti ormai noti al grande pubblico per la loro costante e quasi perenne presenza, che più che di schermi vive di smartphone e più che di cinema vive di social network. Il cinema di cui il cinema necessità non è certo questo, non necessità di queste sceneggiature e non necessità di queste interpretazioni – non completamente da cestinare se pensate in riferimento ad attori non professionisti, per la maggior parte – ma bisogna ormai essere aperti allo sconfinamento del mito dell’influencer all’interno dell’industria.

Leggi anche Il maestro che promise il mare: recensione del film di Patricia Font

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.2