Ritorno in Borgogna: recensione
Tra vigne, vino e famiglia, Ritorno in Borgogna è il film che parla di tre fratelli alle prese con l'eredità del padre e una vendemmia da portare avanti.
Il sapore del vino e l’immensità di ettari coltivati. Nella Francia del piacere, dove vengono imbottigliati gli aromi genuini della vita, è ambientato l’ultimo film di Cédric Klapisch Ritorno in Borgogna (qui il trailer del film), il vigore del lavoro della terra che riunirà una distanziata famiglia, tra la visione degli imminenti impegni futuri e degustazioni ad occhi chiusi che fanno tornare bambini.
Lontano dalla sua terra, dalla quale ha deciso anni addietro di distaccarsi tanto fisicamente quanto emotivamente, Jean (Pio Marmaï) è costretto a ritornare per dare l’ultimo saluto a quel padre da cui si sentiva da piccolo tanto contrastato. Riunitosi quindi ai fratelli Juliette (Ana Girardot) e Jérémy (François Civil), dovrà decidere insieme a loro le sorti della grande vigna lasciata in eredità, sostentamento della loro famiglia e ricordo delle tradizioni che li uniscono a ricordi d’infanzia. Una decisione su cui i protagonisti rifletteranno durante il periodo della vendemmia, mai stato così impegnativo e ricolmo di decisioni da prendere.
Ritorno in Borgogna – il film di Cédric Klapisch ci porta tra le vigne di una famiglia che deve ritrovarsi
Il regista de L’appartamento spagnolo (2003) e Bambole russe (2005), Cédric Klapisch torna al cinema portando sul grande schermo il film nato dalla collaborazione con lo sceneggiatore argentino Santiago Amigorena (Il figlio dello squalo, Tokyo Eyes – Gli occhi di Tokyo, Upside Down). Ritorno in Borgogna esplora, nelle distese della tenuta dei fratelli Jean, Juliette e Jérémy, le difficoltà del ritorno alle proprie origini quando da queste si era scappati, la circolarità che porta un figlio a fuggire dal proprio padre per poi ritornare al suo fianco su di un letto d’ospedale.
Non intraprendendo mai la via di un’opera drammatica, ma mantenendosi sempre costante con un tono volutamente leggero, il film del regista francese è il tentativo di riunione familiare immerso nelle meraviglie della terra, di quell’uva appesa ai grappoli di una vigna su cui discutere e dove continuare a coltivare.
Pur se caratterizzata a tratti da sincere e lievi risate, Ritorno in Borgogna non riesce però ad elevarsi al di sopra di una sceneggiatura che troppo cerca di offrire allo spettatore, riempiendosi di elementi vani alla costruzione della storia, che si rivela in un’ultima analisi inutile poiché ricolma e goffamente trattata. Nemmeno i dialoghi – la cui scrittura se, ben utilizzata, sarebbe in grado di asciugare la moltitudine di parentesi aperte nel film – risolvono i problemi di composizione di Ritorno in Borgogna, che riesce a salvarsi nella sua interezza soltanto perché privo di qualsiasi pretenziosità.
Ritorno in Borgogna – Un vino che non ha nulla di pregiato
La fotografia di Alexis Kavyrchine non rende giustizia ai territori della Francia del vino che si limitano a essere ripresi come lunghe distese di verde e foglie, non meglio di quanto visto in una qualsivoglia pubblicità e si prova dispiacere per non aver puntato su quello che avrebbe potuto essere uno dei punti forti della pellicola: le sue incredibili vigne. Anche la musiche di Loïc Dury e Christophe Minck tendono purtroppo a stancare l’orecchio del pubblico per la loro eccessiva e molte volte inefficace presenza; melodie che si adattano comunque all’atmosfera rilassata del film e che se meno impiegate sarebbero risultate più incisive e avrebbero donato all’opera di Cédric Klapisch tutt’altra armonia.
Ritorno in Borgogna non riesce quindi ad eguagliare il sapore di un buon vino, non suscita le stesse percezioni di un passato in cui si era bambini e bastava correre con i propri fratelli per essere felici. Un film che puoi bere per passare una sera tra amici, ma che non lasceresti in cantina, sapendo comunque che col tempo non diventerebbe pregiato.
Ritorno in Borgogna è nelle sale dal 19 ottobre con Officine UBU.