Venezia 75 – Roma: recensione del film di Alfonso Cuarón
Il bianco e nero, le donne, le risate dei bambini: Roma di Alfonso Cuarón è il processo della memoria che diventa cinema di potenza e dolcezza.
Alfonso Cuarón torna alle sue origini. Torna alla sua terra, alla sua lingua madre e torna soprattutto bambino, tentando di oggettivare quei ricordi che nella sua memoria lo vedevano circondato da una casa di cui erano le donne a rappresentare il perno centrale. Partendo dalla memoria, rendendola di un bianco e nero che non nasconde nulla, anzi, rende ancora più marcati oggetti e persone, il cineasta messicano ci racconta come un narratore attento un fatto del passato, parlando di famiglia mentre nel cortile i bambini riempiono l’aria di risate. Roma, in concorso nella sezione principale della 75ª edizione del Festival di Venezia, si affaccia sul piccolo per riportarlo con la potenza delle immagini e la dolcezza delle rievocazioni, portando con sé la presenza della regia di Cuarón e utilizzandola per un nuovo tipo di storia più intima e personale.
Sofia (Marina de Tavina) e la sua famiglia sono i tipici borghesi. Tre figli, un cane e due domestiche che aiutano a mantenere l’ordine nell’abitazione e si prendono cura dei bambini. Cloe (Yalizta Aparicio) e Adela (Nancy Garcia) non si lamentano del loro lavoro, dedicando tempo alla casa, ma sapendosi svagare anche al di fuori. Fino a quando le cose per la padrona Sofia e Cloe non prenderanno una piega inattesa, che le costringerà a raddoppiare la forza d’animo che le porta avanti.
Roma – La forza e delicatezza dei contrasti
È a partire dai suoni che ci immergiamo in Città del Messico, le urla dei venditori per le strade, la musica della banda, il continuo abbaiare o belare degli animali, a seconda di quelli popolano in quell’istante l’ambiente circostante. Ed è perciò a partire dal contesto sonoro che iniziamo a percepire la vita febbricitante di Roma, che decide di passare per i propri aspetti percettivi prima ancora che procedere direttamente con la storia, rendendo la fruibilità qualcosa da regalare con la distensione del tempo, il quale si rifà – come già accennato – alla memoria.
E mentre tocchiamo il suolo su cui crescono i figli di Sofia amati anche da Cloe, la macchina da presa ci invita a scrutare senza timore intorno alle figure umane, per porre attenzione ai particolari che richiamano un luogo andato, accarezzando in ugual modo paesaggi e persone, con la delicatezza di cui il film è capace. Nonostante infatti l’impatto visivo che Alfonso Cuarón riesce ancora una volta a riproporre con tocco fluido seppur sempre incisivo, è soprattutto nell’affettuosità delle panoramiche, nella scoperta lenta dei posti abitati dai protagonisti che Roma acquista il suo peculiare registro. Un contrasto, quello tra la forza del linguaggio della messinscena – che riporta al passato – e la sensibilità della regia, che si riflette ancor di più all’interno stesso delle inquadrature, che sembrano vivere proprio di questo simbolismo in continua opposizione tra ciò che si crede e ciò che è invece destinato a capitare.
Roma – Il cinema che si fa intimo e personale di Alfonso Cuarón
Gli eventi vengono tramutati in segni che vanno cadenzano l’esistenza delle donne protagoniste, destinate a mantenere sulle proprie spalle il futuro della famiglia. E la calma che la pellicola propone entra in antitesi con momenti di fuoco che accendono Roma di una febbre vitale, anche quando ad aleggiare è un vento di violenza e morte, battendo ancora quella strada tappezzata da simboli nascosti che sanno farsi, per chi è pronto a guardare, esplicativi.
In questo dualismo con cui Cuarón assembla il suo film, a cui il regista affida i suoi ricordi per realizzare l’opera finora a lui più vicina, trovano spazio la potenza di un cinema in cui bisogna confidare e che, se si lascia far entrare, può emozionare per la sua portata innata, in grado di parlare non solo della forza delle donne e del sacrificio delle madri, ma dell’animosità da cui è possibile trarre vita. Roma è la via per un regista di raccontarsi come poche volte gli artisti sanno fare, rendendo partecipi della propria tradizione un pubblico a cui si è fieri di dimostrare le proprie origini e i propri miti.