RomaFF12 – Prendre le large: recensione del film di Gaël Morel
Prendre le large è un film diretto da Gaël Morel con Sandrine Bonnaire, Mouna Fettou, Kamal El Amri, Ilian Bergala, Farida Ouchani
Prendre le large è un film diretto da Gaël Morel con Sandrine Bonnaire, Mouna Fettou, Kamal El Amri, Ilian Bergala e Farida Ouchani.
Presentato alla 12esima edizione della Festa del Cinema di Roma, Prendre le large racconta la storia un’operaia tessile francese, Edith, una donna testarda e dedita al lavoro. Una comunicazione improvvisa dell’azienda informa tutti gli operai che la fabbrica, in cui lavora Edith, chiuderà e si sposterà in Marocco per motivi economici.
Edith, costretta a scegliere tra il licenziamento con liquidazione e il trasferimento, sarà l’unica delle sue compagne a decidere di trasferirsi in Marocco, a Tangeri, e continuare li il suo lavoro. Una scelta drastica e spiazzante che la porterà ad allontanarsi dal figlio, che vive a Parigi, e a doversi arrangiare a vivere in un paese straniero pieno di paradossi, con le sue difficoltà e le sue meraviglie.
Prendre le large è una pellicola che parla con grande intelligenza di immigrazione, di lavoro e di solitudine. Edith è il simbolo di chi resiste, una donna che decide di lavorare nonostante tutto, nonostante le avversità non alza mai la voce, non si abbatte, decide di spingersi oltre il suo territorio, oltre il suo corpo e la sua vita.
Contrariamente ai suoi colleghi, che inizialmente scioperano appoggiandosi al sindacato, lei decide di andarsene dalla Francia preferendo continuare a lavorare, anche se in condizioni peggiori e con paghe molto più basse. Lo spettatore non è conscio dei motivi che hanno mosso questa donna a spingersi oltre il Mediterraneo, per traghettare in Marocco, ed i suoi perché per certi versi sono mostrati attraverso il suo corpo, e tanti piccoli gesti esplicativi.
Quel che delinea Gaël Morel è un caso atipico di immigrazione, essendo in direzione contraria a come siamo abituati a vederla. Quel che si sa è che Edith è sola, non ha un marito, ha un figlio che vive lontano che non si è disturbato nemmeno di invitarla alla sua unione civile. E non essendoci nessuno davvero a trattenerla, Edith decidere di prendere il largo, arrivando in una città, Tangeri, che la accoglie con un i suoi disagi e i suoi eccessi.
Sono determinanti proprio le scene in cui lei arriva in Marocco, in cui osserviamo Edith guardare ciò che le offre la città, dovendosi adattare ai ritmi del luogo, tra autobus gestiti dall’Islam, un lavoro poco appagante con attrezzi e cucitrici vecchie e inoperose, e un certo sguardo accusatorio nei suoi confronti, soprattutto sul posto di lavoro.
Prendre le large offre uno sguardo misurato e sincero di ciò che vive Edith, raccontando il dramma di questa donna che orbita non solo attorno al suo lavoro, ma alla sua solitudine. Edith lavora ad ogni costo, sacrificandosi, sentendo il peso delle poche ore di sonno, dell’emarginazione, della fatica di trascinarsi ogni giorno su un autobus affollatissimo, senza nessuno ad aspettarla al suo ritorno. Ciò che fa Gaël Morel è ritrarre una realtà che deve essere raccontata, che riguarda sempre più persone, una realtà che ti impone una scelta, in cui è doveroso prendere una decisione difficile, pur di lavorare.
Edith sceglie di dar senso alla propria vita attraverso il lavoro, l’indipendenza, delineando ciò che circonda la nostra contemporaneità, attraverso impieghi che o mancano o sono largamente sottopagati, rasentando la schiavitù. Gaël Morel si prodiga in un racconto-denuncia molto lineare, senza eccessi o troppi contrasti, che è fortemente caratterizzato dalle doti attoriali di Sandrine Bonnaire, con una recitazione precisa, senza sovrastrutture, porta avanti una narrazione senza sbavature o detriti oltre modo drammatici, che convince proprio per l’essenzialità del suo racconto, e con sincerità e un pizzico di speranza ci traghetta nel reale contesto lavorativo di una donna, disposta a tutto per la propria dignità.