Rudolf alla ricerca della felicità: recensione del film d’animazione
Distribuito da Mediterranea Productions, il 15 marzo esce al cinema un nuovo film d'animazione giapponese che vede come protagonista Rudolf, un piccolo gatto nero che, per sbaglio, si trova catapultato a chilometri di distanza dalla sua casa e dovrà imparare a sopravvivere insieme a un gruppo di nuovi amici
Che i gatti siano ormai gli animali più popolari del web è fuor di dubbio ma c’è anche un paese al mondo dove il gatto è un’icona popolare di tutto rispetto grazie alle numerose incursioni in svariati ambiti culturali: il Giappone. I gatti figurano spessissimo nell’arte e nella letteratura – dalle Note del guanciale al Genji Monogatari, un gatto riesce persino a diventare protagonista del brillante romanzo d’esordio di uno degli scrittori giapponesi più importanti dell’età moderna, Sōseki Natsume – per non parlare di tutti quei maneki neko (o “gatti della fortuna”) che ci danno il benvenuto dalle porte di innumerevoli negozi e ristoranti e dal gatto forse più famoso che il Giappone abbia mai importato nel resto del mondo: Hello Kitty. L’amore per questo animale è tale che i gatti hanno cominciato a fare la loro comparsa anche al cinema, sia in film d’animazione come per esempio La ricompensa del gatto (Neko no ongaeshi, 2002) prodotto dallo Studio Ghibli, che in pellicole d’autore come Rent-a-neko (2012) di Ogigami Naoko. Nel 2016, infine, è la volta di un nuovo film d’animazione in computer grafica a vedere un gatto come protagonista: Rudolf alla ricerca della felicità (Rudorufu to Ippaiattena).
Dai registi Yuyama Kunihiko (noto principalmente per aver diretto le varie serie di Pokémon e i rispettivi OVA) e Sakakibara Motonori (autore del primo adattamento dell’iconico videogioco Final Fantasy), Mediterranea Productions porta in Italia una delle pellicole candidate al miglior film d’animazione al Japan Academy Prize del 2017. La storia è quella di Rudolf (Lucrezia Ward), gatto domestico che non è mai andato più lontano del suo stesso cortile. Un giorno, nel tentativo di raggiungere la sua piccola padrona, uscita di casa per una commissione, si ritroverà per sbaglio a bordo di un camion che da Gifu lo farà arrivare a Edogawa, uno dei ventitré quartieri di Tokyo. Lontanissimo da casa, Rudolf si imbatte in un gattone tigrato (Andrea Ward), a prima vista piuttosto brusco e scontroso, che, data la sua natura di randagio, risponde ai moltissimi nomi (tra cui Tigre) che gli umani a cui chiede del cibo gli hanno dato. Il piccolo Rudolf finirà per essere preso sotto la sua ala protettrice e farà la conoscenza di altri gatti del quartiere, come Bucchi (Alessio Ward) e Miscia (Silvie Gabriele), nonché dell’arcinemico di Tigre, il bulldog Devil (Mario Bombardieri).
Rudolf alla ricerca della felicità: l’importanza dell’istruzione e lo straniamento culturale
Se solitamente il binomio film d’animazione/film per bambini dovrebbe essere sciolto, questo non è però il caso di Rudolf alla ricerca della felicità. Basato su una serie di libri per bambini a firma di Saito Hiroshi, a prima vista è ben chiaro quale debba essere il target di una pellicola del genere. Proprio in virtù del suo essere stato concepito come un prodotto per i più piccoli, uno dei maggiori pregi del film è proprio la sua natura spiccatamente didattica. Uno dei messaggi più forti è l’accorato appello alla necessità di non sottovalutare l’istruzione, con Tigre che, avendo imparato a leggere grazie al suo padrone (per sopravvivere dopo l’abbandono), cerca di passare il testimone a Rudolf, facendogli capire che grazie allo studio e alla lettura è possibile raggiungere quegli obiettivi che solo un attimo prima ci sembravano inavvicinabili.
Sorretto da un’animazione che, dal punto di vista tecnico, è ancora abbastanza indietro rispetto a tutti quei prodotti Pixar cui siamo abituati, Rudolf potrebbe però risultare vagamente straniante per un pubblico non troppo familiare con la cultura giapponese. Essendo, come dicevamo, un film dallo spirito fortemente didattico, Rudolf segue l’apprendimento della scrittura a partire dalla basi dell’alfabeto hiragana fino a coprire i kanji più complessi, non risparmiandosi di far notare come se un gatto impiega solo un anno per memorizzare anche i caratteri più difficili, i piccoli studenti giapponesi passeranno anni della loro carriera scolastica a imparare centinaia e centinaia di caratteri che permetteranno loro di leggere giornali e libri di varia complessità. Se questo potrebbe non risultare di immediata comprensione per un bambino italiano, che verosimilmente avrà una scarsa conoscenza dell’ortografia giapponese, i numerosi cartelli e volantini in kanji che affollano lo schermo in vari punti della narrazione – per i quali non viene mai presentata a video una didascalia – contribuiscono di certo a rendere questo film ancora più lontano dalla nostra portata nonostante il valore indiscusso del messaggio universale che si cerca di comunicare.
Rudolf alla ricerca della felicità: un buon film che soffre di un adattamento decisamente perfezionabile
A questo si dovrà aggiungere un adattamento che, in alcuni punti, risulta piuttosto povero, dove invece il momento più curioso lo abbiamo quando Rudolf, in procinto di partire per tornare verso casa, volendo ringraziare il suo maestro Tigre si inchinerà leggermente al suo cospetto pronunciando un convinto arigatō che, nel bel mezzo di un film parlato completamente in italiano, non potrà non far scendere qualche brivido lungo la schiena di cultori e appassionati. È però piuttosto triste dover aggiungere certe note negative alla critica di un film che, nel complesso, risulta estremamente godibile grazie a una trama lineare e assai semplice da seguire, che, se solo fosse stato distribuito in originale con dei sottotitoli di qualità, per i non iniziati sarebbe potuto essere uno strumento utile per entrare finalmente in contatto con la cultura e, perché no, la lingua giapponese.