Venezia 79 – Rumore bianco: recensione del film di Noah Baumbach
La recensione di Rumore bianco (White Noise), il film di Noah Baumbach con Adam Driver e Greta Gerwig presentato a Venezia 2022.
Dopo aver presentato al Lido l’applaudito Storia di un matrimonio nel 2019, Noah Baumbach torna alla Mostra di Venezia con Rumore bianco (in originale, White Noise), tornando a collaborare con Adam Driver. Per la prima volta, il regista firma una sceneggiatura partendo da un materiale già esistente, adattando l’omonimo romanzo di Don DeLillo, autore precedentemente portato al cinema da David Cronenberg con il suo Cosmopolis (2012).
Avventura familiare anni ’80 che unisce satira sul mondo accademico, ritratto di un disastro ambientale e riflessioni sulla morte, Rumore bianco segue Jack Gladney (Adam Driver), professore universitario esperto di Adolf Hitler. Lo studioso è sposato con Babette (Greta Gerwig), ultima di varie mogli, con la quale cresce i quattro figli, alcuni dei quali frutto dei precedenti matrimoni dei due coniugi. L’equilibrio della famiglia viene infranto quando, in seguito a un incidente, una tossina si diffonde nella loro città, gettando la comunità nel panico proprio mentre la famiglia attraversa una crisi interna.
Rumore bianco: una cascata di immagini e suoni come palliativo alla paura della morte
Sembrava impossibile portare sullo schermo la ricchezza espressiva delle pagine di DeLillo, ma Baumbach risponde all’attacco con l’attacco. Nella sceneggiatura e nella messa in scena, Rumore bianco non tenta di portare linearità a quella “saturazione sonora” che lo stesso scrittore definiva cruciale nella propria opera, bensì la porta al parossismo, coinvolgendo anche la vista con tutta la forza di cui il mezzo cinematografico dispone. “Accumulo” è la parola chiave che contraddistingue Rumore bianco: immagini di repertorio che si giustappongono, sovrapponendo esibizioni di Elvis Presley a discorsi di Hitler; conversazioni portate avanti da voci che si coprono a vicenda, in cui le risposte risultano più nebulose delle domande;
Una frenesia che è quasi stordente, in un ambiente soprattutto familiare in cui il silenzio non è quasi contemplato. Esattamente come quel rumore bianco che dà titolo al film, tipico di molti vecchi televisori in assenza di segnale, la quiete semmai fa intrusione come un’interferenza nelle vite altrimenti senza pause dei protagonisti, terrorizzati dal silenzio per il suo costringerli a riflettere sulle rispettive paure. Paura della morte, soprattutto, che si instaura in ogni immagine e battuta del film, siano i discorsi a letto in cui i due coniugi fanno a gara a chi soffrirebbe di più se l’altro perisse oppure i disastri aerei a cui i giovani Gladney assistono affascinati in TV.
Noah Baumbach sa quando tirare il freno, ma è nell’eccesso che dà il meglio di sé
Proprio per il tentativo di fuggire dallo spettro della mortalità, il titolo non si tinge però di tinte funeree, bensì attinge all’intera palette di colori, regalando il miglior ritratto degli Stati Uniti anni ’80, immersi in tinte pastello, che nel periodo del consumismo dilagante e della Reaganomics ancora si ripetevano come tutto sarebbe andato per il meglio guardando al nuovo millennio. Eppure Baumbach non si pone limiti e ricorre anche alle febbrili luci al neon di squallidi hotel e inquietanti bagliori che squarciano il cielo notturno, quando è il momento di far emergere i turbamenti dei Gladney, sulla cui relazione si stagliano nuvole pericolose almeno quanto la nube tossica che minaccia la comunità. Parimenti nella scrittura, Baumbach è infatti disposto a spingere sul freno, quando necessario. Suddividendo il racconto in capitoli (ancora una volta ricordando il materiale letterario di origine, piuttosto che affrancandosene), l’autore non teme di abbassare notevolmente il ritmo nell’ultima sezione di Rumore bianco, consapevole probabilmente che una corsa forsennata per le oltre due ore di film sarebbe risultata eccessiva. Il suo farsi nell’atto conclusivo più convenzionale, per quanto tale termine possa essere utilizzato per l’opera in questione, pare uno sviluppo naturale per una storia che dopo tanto scappare pone infine Jack e Babette a confronto con i propri fantasmi.
È tuttavia difficile scrollarsi di dosso la sensazione che il film dia il meglio nei momenti in cui preferisce esagerare, piuttosto che dosare, soprattutto a causa di uno sbilanciamento nella delineazione delle figure protagoniste. Nelle loro stravaganze, i componenti della famiglia Gladney ricordano i ritratti firmati da Wes Anderson, senza però che Baumbach abbia interesse a rendere minimamente amabili i propri protagonisti. Sebbene l’intero cast svolga un ottimo lavoro, è principalmente Adam Driver, che ancora una volta rifugge la figura di divo nei panni di un professore di mezz’età con tanto di pancetta, a conquistare emotivamente. È il suo Jack la bussola all’interno del mulinello di suggestioni che la storia getta in pasto allo spettatore, godendo di una luce privilegiata che rende più difficile prendere a cuore le difficoltà dei restanti componenti familiari, soprattutto di Babette. Gerwig (attuale compagna di Baumbach e regista/sceneggiatrice a sua volta, al timone dell’atteso Barbie), dà una grande prova nel dare volto a una donna che cela un grande dolore dietro al perenne ottimismo, ma la scelta di puntare l’obiettivo su di lei quasi tutto in una volta non lascia tempo per prendere a cuore le sue pene, faticando a esercitare una presa emotiva efficace quanto quella del protagonista maschile.
Rumore bianco: il racconto di un’epoca che risuona potente ancora oggi
Ciò non toglie credito alla fatica di Baumbach, a cui va dato atto di aver raccolto una sfida non indifferente per il suo primo lavoro di adattamento. Il regista porta sullo schermo le pagine di DeLillo con una forza dirompente, rendendo chiaro quanto il romanzo fosse avanti con i tempi alla sua uscita quasi 40 anni fa. Mettendo di fronte allo spettro della morte, alle speranze riposte nei farmaci, a quarantene dovute a calamità inaspettate e a un consumismo sempre più sfrenato, Rumore bianco parla oggi più forte che mai e Baumbach rende onore all’opera dello scrittore americano con un film che frastorna e travolge ogni senso, forse imperfetto, ma in ogni caso un film a cui è impossibile restare indifferenti.
Disponibile su Netflix a partire dal 30 dicembre, Rumore bianco è prodotto dallo stesso regista con la sua NBGG Pictures, insieme a Heyday Films e Uri Singer, e vanta una colonna sonora firmata da Danny Elfman. Il cast è composto da Adam Driver, Greta Gerwig, Don Cheadle, Raffey Cassidy, Sam Nivola, May Nivola, Jodie Turner-Smith, André L. Benjamin e Lars Eidinger.