Run Sweetheart Run: recensione dell’horror femminista di Shana Feste
Feste firma il suo primo film horror, una critica sociale che miscela troppi stili per poter risultare convincente.
Dopo molti film drammatici, Shana Feste con Run Sweetheart Run firma il suo primo horror femminista.
Un lavoro lungo e travagliato che ha voluto anni prima di riuscire a vedere la luce. L’idea è del 2018, anno in cui Shana Feste viene annunciata come regista e sceneggiatrice del progetto assieme a Keith Josef Adkins e Kellee Terrell.
Il film è stato presentato nel 2020 al Sundance Film Festival, per poi subire un arresto a causa della pandemia. In Italia è arrivato solamente il 28 ottobre 2022, distribuito da Amazon Prime Video.
La trama di Run Sweetheart Run
Run Sweetheart Run si presenta come un horror femminista che segue la scia di quel filone che, nell’ultimo periodo, è particolarmente florido: come Men, Una donna promettente e Fresh, il film di Shana Feste cala la protagonista in un ambiente misogino e pericoloso, dove il trauma della violenza è solo la punta dell’iceberg che mette in luce le dinamiche tossiche in cui gli uomini hanno il pieno controllo del potere sociale, economico e politico. A differenza dei film citati, però, Run Sweetheart Run risulta essere un esercizio di stile confuso.
Cherie (Ella Balinska) è un’aspirante avvocatessa, mentre studia all’università si mantiene lavorando come segretaria per un avvocato, James Fuller (Clark Gregg). A seguito di un errore che lei non crede di aver commesso, Cherie è costretta a sostituire il suo capo a una cena di lavoro con un cliente di vecchia data dello studio legale. Ethan (Pilou Asbæk) si presenta come un uomo distinto, gentile e spiritoso e la cena di lavoro prende in fretta le sembianze di un appuntamento. È quando Ethan la invita a prendere un ultimo drink a casa sua che le cose precipitano. Dopo averla aggredita la va a trovare alla stazione di polizia obbligandola a fare, quel che lui chiama, un gioco: durante quella notte lui la caccerà e se la ragazza riuscirà ad arrivare all’alba viva allora la lascerà stare.
I differenti stili cinematografici utilizzati da Feste per raccontare una storia di violenza
È così che inizia l’incubo di Cherie che cerca di sopravvivere ad una notte folle durante la quale viene braccata, fiutata, cacciata. L’evoluzione del rapporto tra la protagonista e il suo aguzzino richiamano quelle tra una preda e il suo cacciatore che, in fretta, prende le connotazione di un predatore. Ethan è raffigurato, inizialmente, come un killer dei famosi slasher movie: nei film in cui un serial killer uccide a sangue freddo un gruppo di adolescenti, l’assassino ha delle caratteristiche soprannaturali: una forza smisurata, una resistenza fisica che lo rende immune a colpi di pistola e a violenti scontri che lo fa assomigliare ad una creatura immortale.
Run Sweetheart Run utilizza gli stilemi di diversi sottogeneri dell’horror e, quando la forza soprannaturale di Ethan e la sua velocità sembrano essere una citazione ai famosi film nati negli anni Ottanta, Feste miscela ancora una volta le sue carte puntando verso un horror dalle connotazioni fantastiche e religiose. Le premesse iniziali di Run Sweetheart Run sono buone così come il primo atto in cui la tensione cresce sempre di più e il film sembra prendere una direzione ben precisa.
Run Sweetheart Run racconta le paure delle donne in un ambiente misogino
Feste vuole mettere in scena le paura più comuni che hanno le donne: la violenza, il non poter abbassare mai la guardia, il non poter indossare un bel vestito senza essere etichettate e il non poter girare di sole la sera. Quest’ultimo timore è rappresentato dalla paura che ha Ethan per i cani, un terrore che si lega a una necessità che le donne hanno. Quella di sentirsi protette, non è inusuale infatti per una donna che esce spesso di sera o vive da sola prendere un cane da guardia per scongiurare molestie e violenze.
Una denuncia sociale che è accentuata anche dall’uso della soggettiva nel non mostrare l’aggressione di Ethan la quale si intuisce solamente per via delle urla disperate della donna e dai rumori di lotta all’interno della casa. L’uomo, prima di chiudersi la porta alle spalle, guarda dritto in camera facendo allo spettatore il segno di fermarsi. Un gesto perentorio che si trasforma in un’allegoria delle violenze domestiche perpetrate da uomini violenti che riescono a farla sempre franca.
Il primo lungometraggio horror di Feste è un’opera bizzarra che non convince fino alla fine
Tutto quello che c’era di buono in Run Sweetheart Run si va velocemente a perdere quando viene introdotto l’elemento soprannaturale accompagnato da una regia che strizza l’occhio al pulp. Run Sweetheart Run cerca di essere troppe cose insieme perdendo troppo in fretta il focus iniziale a causa di una regia e una fotografia delle volte maldestre. La parte centrale, quella della caccia vera e propria, rallenta il ritmo dell’intero film a causa di continui cambi di location, di escamotage tra i più abusati nei film horror (tra cui una stesa dei tarocchi in cui esce la carta della morte, uno degli espedienti più blasonati) e di scene d’azione poco avvincenti che proseguono fino al combattimento finale.
Un impegno che, al contrario, i due attori protagonisti mantengono da inizio a fine. In particolare è lodevole l’interpretazione di Ella Balinska che rimane coerente e perfettamente nel ruolo anche quando la storia inizia ad essere veramente bizzarra.
Run Sweetheart Run si presenta come un’opera eccentrica, autoriale e impegnata senza riuscire a mantenere fino alla fine le promesse di partenza.