Venezia 73 – Safari: recensione del film di Ulrich Seidl
Il pluri-premiato cineasta austriaco, Ulrich Seidl, torna a far parlare di sé con un conturbante documentario incentrato sul malsano divertimento manifestato da un gruppo di turisti occidentali nel cacciare e uccidere degli animali nel continente africano. Safari è il titolo di questo spregiudicato lavoro documentaristico, presentato alla 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Seidl non è nuovo a lavori “immorali”, che mirano a “graffiare” sensibilmente lo stato d’animo dello spettatore.
Attuando questa rude presa stilistica, Seidl con Safari mette “a nudo” la cattiveria gratuita dell’uomo a danno dell’essere umano “non pensante”, che agisce unicamente per puro istinto. Per Seidl l’istinto è sinonimo di purezza contrapposto appunto alla ragione, vista come quel connotato maligno che permette all’uomo di recare un danno insanabile a ciò che lo circonda.
Certe prese di posizione da parte di Seidl non sono nuove; già in passato il regista con la celeberrima trilogia Paradise ma anche con Import/Export o Im Keller, fece trasparire la sua ottica morale, manifestando una velata misantropia verso la figura dell’uomo e sul suo modo di comportarsi o approcciarsi col resto del mondo.
Quel connotato “jacopettiano” che non lascia indifferente…
Visionando Safari appare inevitabile creare un percepibile parallelismo coi lavori pseudo-documentaristici di Gualtiero Jacopetti – da Mondo Cane ad Africa Addio – diversificandolo però in stile, per l’eccessiva esplicitazione che Seidl adotta impunemente. Safari è un film documentaristico apparentemente contestabile, che mostra però, come un puro sfizio edonistico dell’uomo possa comportare alla morte di essere terreni innocenti, vittime di un inaccettabile destino. Incisivo, feroce e senza censura, Seidl pretende la contemplazione della sua opera nella sua massima forma. Lo spettatore rimane turbato nel profondo, sentendosi richiamato in causa durante la visione.
Questo è indubbiamente l’intento principale che Seidl si prefissa con Safari, ovvero responsabilizzare l’uomo mettendolo a confronto con la sua stessa specie. Una divulgazione misantropa che Seidl adotta – forse – attraverso questa minimalistica coercizione su pellicola. Per i cinefili dai gusti particolarmente d’essai, la pellicola in questione è una vera e propria “manna dal cielo”, macabra ed intrisa da quel solito umorismo nero, oramai connotato distintivo di Ulrich Seidl.
Uomo o bestia?
Tra tecnicismi vari ed una fotografia – la solita – che non lascia mai indifferenti, Seidl offre allo spettatore un “gioco perverso”. Uomo o bestia? Chi assume l’entità dell’altro? In questo vasto contesto paesaggistico africano, l’uomo e la bestia sono partecipanti attivi. Con questo retrogrado status sociale, molto vicino a quello primordiale, il regista pone interrogativi chiari allo spettatore. La natura umana macchiata, indicata come quel qualcosa di totalmente sbagliato. Ululati di morte e di insano divertimento sono i contorni musicali che confezionano Safari.
Senza l’andatura cinica adottata da Seidl, Safari perderebbe quel suo valore intrinseco, passando per un semplicistico lavoro documentaristico dalle tinte malsane, che tenta unicamente di sconvolgere senza raziocinio alcuno. Seidl – come ribadito in precedenza – esige attenzione massima, sorvolando su ogni forma di denigrazione o di contestazione. Le cruente scene di morte – struggenti da vedere – paradossalmente servono per rendere sofferente l’animo morale dello spettatore. L’inconfondibile stile del regista austriaco non lascia mai indifferenti, anche con Safari gli stati d’inquietudine non vengono a mancare, lasciando nello spettatore, quel profondo senso di malessere difficilmente dimenticabile.
Safari è un film-documentario diretto da Ulrich Seidl, scritto insieme a Veronika Franz. Prodotto dalla Ulrich Seidl Film Produktion.