Venezia 77 – Samp: recensione del film di Rezza Mastrella
Senza ombra di dubbio il duo Rezza Mastrella è uno punti di riferimento assoluti della realtà teatrale italiana, uno duo incredibilmente spiazzante, capace di generare una rottura di forma e significati unica, di sposare una sperimentazione che trova in questo film, in questo Samp, una sorta di manifesto creativo e non solo.
Protagoniste sono le gesta di un’insolito killer, di rosa vestito, che su incarico di un misterioso ed oscuro mandante, deve far fuori tutti gli anziani del piccolo borgo pugliese di Gravina. Il tutto mentre è alle prese con pene d’amore molto più legate alla fantasia che alla realtà.
Messa così Samp sembrerebbe un thriller sui generis, una sorta di noir alquanto romantico e intriso di mortuaria malinconia. Invece dare un senso canonico al film di Rezza Mastrella è qualcosa di assolutamente vano, anzi di sbagliato, dal momento che la loro arte esula dal canonico, è mezzo per esprimere una visione universale, mai puramente diegetica o accomodante per il fruitore.
Samp più che un film è un manifesto artistico
La cinica visione del mondo, la totale mancanza di distinzione degli universi artistici noti (televisione, cinema e teatro), la finalità ultima di non permettere mai allo spettatore di essere completamente a suo agio o in grado di comprendere dove si trova.
Il film in realtà assurge quindi a manifesto sia per ciò che riguarda l’aspetto formale che (soprattutto) dei contenuti, della visione dell’arte, della loro arte, che rifiuta la tradizione, il già detto e scritto, la concezione dell’appartenere ad un genere del passato o di avere dei maestri.
Così come Samp elimina gli anziani, allo stesso modo in questi anni Flavia Mastrella e Antonio Rezza hanno lottato contro l’immobilismo e la tradizione, si sono fatti alfieri della resistenza della creatività, della libertà artistica contro lo status quo, in una sorta di percorso che fa di questo film, una sorta di manifesto del Jeet Kune Do di Rezza -San e Mastrella-san.
Si badi bene che l’originalità della forma, la violenza dell’atto artistico contenuti in questo film, non inducono mai all’estraneità, al distacco, al contrario il coinvolgimento è l’arma segreta con cui i due affondano gli artigli nell’attenzione dello spettatore.
Un film, Samp, che è un flusso continuo di quell’espressività imprevedibile, lunatica, caotica e personalissima che hanno reso il duo un simbolo di sperimentazione estrema, di fedeltà ad una linea di non allineamento (suona strano ma è la realtà).
Sketch, improvvisazioni, l’uso del corpo come uno strumento musicale, della musica come una voce aggiunta, mentre fa capolino quel cinismo che li ha sempre accompagnati come un’ombra, avvolto però da una visione romantica proiettata al futuro, al domani.
Ecco allora che il corpo, il linguaggio, la stessa natura umana, si separano dal noto, dal già visto, dal canonico, ci guidano verso un’iperbole continua, decostruiscono linguaggio e corporeità, in virtù di una nuova dimensione, di una ricerca ossessiva del vero, del bello (ma mai in un’ottica narcisistica D’Annunziana).
Un film coerente dal primo minuto all’ultimo, ma difficile, complesso, forse anche troppo lungo ad essere onesti, ma che rappresenta una dimensione di coerente dinamismo contro l’immobilità della falsa autorialità, del deja vu spacciato per buono, che ha assediato anche questa Venezia 2020.