Venezia 76 – Sanctorum (2019): recensione del film di Joshua Gil
Un film interessante e potente, che inscena la fine del mondo come riscatto degli ultimi.
Siamo polvere e ritorneremo un giorno alla terra, questo è uno dei concetti che una voce fuori campo enuncia durante le scene più metafisiche di Sanctorum, film in concorso alla 34ª edizione della Settimana della Critica al Festival del cinema di Venezia. In una piccola città dimenticata fra montagne coperte di alberi, vivono un bambino e sua madre. La vita quotidiana è sconvolta da quando la città è diventata il crocevia della guerra tra militari e cartelli della droga. Date le poche opportunità di lavoro e la mancanza di soldi per trasferirsi altrove, la madre coltiva marijuana per i cartelli. Un giorno si reca a lavoro e non fa più ritorno. Distrutta dal dolore, la nonna, manda il bambino nella foresta a pregare il sole, il vento e l’acqua, affinché la madre possa far ritorno indenne. Mentre i soldati arrivano e gli abitanti del villaggio si preparano allo scontro finale, la natura si manifesta in tutta la sua potenza.
Una lotta di classe in cui si schiera anche la natura
Molte delle scene di Sanctorum sembrano quelle di un documentario e non di un film di fiction. Il regista Joshua Gil segue le popolazioni di una zona non definita dell’America Centrale nelle abitazioni modeste e scarne, mentre si addentrano nella foresta per raccogliere la marijuana con tutti i pericoli annessi, mentre i narcos e l’esercito si fanno la guerra. Nel mentre i lamenti di un bambino a cui hanno strappato via la madre si fanno sempre più potenti, fino a scatenare l’apocalisse che spazzerà tutto via per ristabilire l’ordine. Joshua Gil mette in scena l’apocalisse come riscatto degli ultimi e la vendetta del Creato saccheggiato e offeso.
Sanctorum è un film visionario e ricco di immagini emozionanti
Siamo abituati a vedere film e serie tv in cui compaiono i narcotrafficanti, dove il focus centrale è l’attività illecita, o la lotta contro essa. In Sanctorum il punto di vista è quello degli ultimi della scala sociale, i principali schiavi di questo commercio illecito, le popolazioni più deboli abbandonate dallo stato e costrette ad accettare anche i lavori più pericolosi. Il collegamento tra la natura e le credenze delle popolazioni che vivono a stretto contatto con il territorio in cui vivono diventa potente attraverso le immagini di grandissima intensità: dalle presenze demoniache che si aggirano nella foresta, alla celebrazione dei rituali funebri e divinatori, fino alle sequenze finali in cui l’ordine naturale delle cose viene sovvertito e il carico di sofferenza si tramuta in punizione divina contro un mondo che non ha saputo essere giusto. Il mondo si capovolge, in un riscatto della Terra e degli Ultimi. Nell’avvicinarsi al canto dell’Apocalisse nel giardino dell’Eden, il film che ha chiuso la 34ª Settimana Internazionale della Critica mostra una sorta di Narcos spirituale, fra Angeli della morte e vendette divine.
Interessante e potente, sono due aggettivi quanto mai azzeccati per questo film.