Schumacher: recensione del documentario Netflix sul leggendario pilota di Formula 1
Materiale d'archivio come frammenti di ricordi non più sfuggenti, e motori rombanti che definiscono il carattere di Michael Schumacher. Il documentario Netflix sulla sua storia studia le crepe di un'icona immortale.
Uno spirito solitario che viene alimentato dai motori che ha sempre inseguito, una personalità contenuta che si esprime attraverso le corse, una figura influente accerchiato da rivali instancabili. Michael Schumacher rappresenta un uomo che si presta ad assemblarsi assieme all’estensione del suo Io: la macchina di Formula 1 che risveglia i suoi istinti primordiali. Nel documentario Netflix, diretto da Hanns-Bruno Kammertöns, Vanessa Nöcker e Michael Wech e in uscita sulla piattaforma da mercoledì 15 settembre, si segue il racconto di un bambino prodigio che, dalle attività familiari di riparazione e collaudo dei go-kart, va spianandosi la strada verso i famigerati ma al tempo stesso trascinanti Grand Prix.
Un sogno chiamato circuito: l’ascesa di un pilota imparziale e determinato in Schumacher
Costanza e sacrificio alla base di ogni aspetto della vita di Michael Schumacher. Un pilota plasmato dai desideri di Rolf Schumacher, padre integerrimo e forte di un carattere travolgente, e un ragazzino speranzoso e nutrito dall’insana voglia di bruciare i percorsi e lasciare il segno delle gomme impresse nel terreno. Il documentario propone un’introduzione furiosa ambientata al Belgian Grand Prix nell’agosto del 1991, in sella ad una Jordan coccolata e mantenuta viva da Schumacher, come se fosse una creatura alata che si eleva dal suolo, e si ferma volutamente ai pit-stop per aprire una parentesi necessaria indietro nel tempo. 1983: anno della rivelazione. Nella World Junior Karting al kartodromo di Kerpen-Manheim un nome è pronto a farsi conoscere da tutti, dal telecronista fino agli avversari che condivideranno il podio con lui.
Schumacher è 100% adrenalina che si impossessa di un corpo in tumulto, una seconda metà di una macchina che deve stabilire un contatto con ogni componente del mezzo in modo tale da percorrere lunghi tratti senza il minimo sforzo. Un rapporto che si può definire mistico, come si evince dalla fermezza di fondo di Michael e dall’alta concentrazione riversata nel suo lavoro. Ha dovuto affrontare la potente aura emanata da un mito che prende il nome di Artyon Senna, con una McLaren capace di scrutare le viscere degli altri piloti. Nel confrontarsi con personalità affermate e capaci di adattarsi ad ogni tipo di terreno, Schumacher si è volutamente privato di ogni sorta di distrazione per agire come un veicolo in grado di prendere fuoco a comando, ad ogni curva e con una velocità sempre costante. Il documentario non prende mai le distanze dall’azione spericolata del pilota tedesco e garantisce un livello di spettacolo mozzafiato che si sviluppa grazie a riprese immersive e commentate sia da Michael stesso che da James Allen, noto giornalista britannico che ha lavorato come telecronista e corrispondente dal 2000 al 2008.
Una vita al massimo e la furia trascritta negli occhi di un combattente nato
Non si conoscono compromessi e via alternative nella vita di Schumacher. Pareggiare i conti con altri grandi piloti equivaleva a perdere lo scettro e la possibilità di guadagnarsi il podio, anche a livello psicologico. Una questione di principio che guidava l’uomo dietro al casco, lo spirito contenuto in protezioni sottili e poco performanti. Cambiavano i team dietro alla creazione del personaggio Schumacher, dalla Benetton con il team manager Flavio Briatore nei primi anni ’90 alla Ferrari gestita dall’imprenditore Luca Cordero di Montezemolo, ma non si poteva trattenere la bestia incandescente che azionava i motori di macchine da rifinire in corso d’opera. Il documentario ci riserva una serie di considerazioni su una persona schiva, diretta, essenziale come i componenti tecnici messi a punto per correre più veloci della luce, senza scadere nella rappresentazione celebrativa a tutti i costi.
Nel presentare le incrinature di un campione in carica che dominava le classifiche e regnava sovrano in numerosi Grand Prix, Jacques Villeneuve e Damon Hill, storici piloti protagonisti di incidenti e scontri violenti contro il Ferrarista, intervengono senza filtri ma con assoluto autocontrollo, delineando il confine fra competizione e prevaricazione incontrollata. Schumacher dovette anche rimanere lontano dalle gare, specialmente nel Gran Premio del 1997, per scorrettezze e tentativi di manomissione azzardati durante la corsa di Jerez ai danni di Villeneuve. L’originale Netflix mantiene un sorprendente equilibrio fra traguardi raggiunti con costanza ed impegno e battute di arresto improvvise che riportavano Schumacher coi piedi per terra. Le musiche di Peter Hinderthür e Christian Wilckens contemplano le sfumature di Michael, in bilico fra rapporti familiari da tenersi stretti per la salvaguardia personale e podio da raggiungere con le grinfie affilate di un pilota da corsa.
Schumacher cerca, in quasi 120 minuti di durata, di ricoprire 20 anni di storia, dall’ascesa del campione fino all’incidente fatale sugli sci avvenuto a Meribel il 29 dicembre 2013. I volti di Corinna, Mick e Gina-Maria, rispettivamente sua moglie e i suoi due figli, caratterizzano il terzo conclusivo atto del viaggio del pilota. Il dramma inaspettato che sconvolge di netto gli equilibri di una famiglia che sperava di godere appieno del lungo periodo di ritiro dalle scene del loro eroe. Costretti a sperare per il meglio, riscoprendosi attraverso il racconto e ripresi da una telecamera neutrale e realmente interessata agli sviluppi di un uomo munito di pedali e al volante al posto degli arti. Un prodotto Netflix vincente e degno di considerazione, che riporta la famiglia in cima alla lista delle priorità da non lasciarsi sfuggire nella dura corsa della vita.