Sconnessi: recensione del film
Sconnessi, al cinema dal 22 febbraio con Vision Distribution, è una lente d'ingrandimento su come abbiamo nutrito la nostra insicurezza
Per Ettore (Fabrizio Bentivoglio) è un momento molto importante. La sua giovane e bella compagna Margherita (Carolina Crescentini) sta per dargli un figlio, manca poco al suo nuovo romanzo e tra breve compirà gli anni. Proprio per il compleanno decide di portare tutta la sua famiglia in uno chalet di montagna, per passare assieme il weekend. Ettore in particolare vuole cercare di far legare la compagna con i suoi due figli: il timido e malinconico Giulio (Lorenzo Zurzolo) e l’irascibile e narciso Claudio (Eugenio Franceschini), che porterà con sé la fidanzata Tea (Giulia Elettra Gorietti). Al gruppo si aggiungono l’impacciato Achille (Ricky Memphis), il fratello di Margherita, e Stella (Benedetta Porcaroli), la figlia della devota ed efficientissima governante ucraina Olga (Antonia Liskova). Durante la permanenza si aggiungerà a sorpresa anche lo strano e stralunato Palmiro (Stefano Fresi), il fratello di Margherita ed Achille, in fuga dalla casa di cura. Questo strano ed eterogeneo gruppo si troverà in breve senza connessione internet, Sconnessi non solo dal mondo esterno, ma da tutto ciò che presumevano di conoscere su sé stessi e sulla propria vita…
Sconnessi: un film che strizza l’occhio alla fantasiosa e mai banale tradizione del cinema comico transalpino
Sconnessi rappresenta per il regista Christian Marazziti, che in passato si era misurato sia con il mestiere di attore, che con quello di produttore e sceneggiatore. Dietro la macchina da presa aveva creato diversi cortometraggi, prima del debutto con un lungometraggio grazie al film E-bola. Per questo Sconnessi, Marazziti sembra aver voluto strizzare l’occhio alla fantasiosa e mai banale tradizione del cinema comico transalpino, che ormai da molti anni si è contraddistinta per il saper alternare le risate con la capacità di approfondire tematiche attuali e complesse. Di certo questa sua opera si basa su una sceneggiatura molto particolare passata, oltre che dalle sue mani, da quelle di Michela Andreozzi (Natale col Boss e Tutta Colpa di Freud), Fabrizio Nardi e Gianluca Tocci. Lo script infatti più che sugli eventi è disegnato, tagliato e forgiato sui dialoghi, sulla natura dei personaggi, sul loro essere portatori e ambasciatori di un certo modo di vedere la vita, sopratutto di viverla, sempre e comunque in relazione con la tecnologia.
Su tutti domina un Bentivoglio che fa del suo Ettore un vero e proprio ambasciatore dell’Italia e del mondo che fu, anti-tecnologico, del tutto scevro da ogni tipo di coinvolgimento con cellulari, social e via discorrendo. Tuttavia nella sua anima di uomo acculturato, raffinato e profondo, si fa strada in modo magistrale il suo essere anche un reietto, un altezzoso, insomma una vera e propria metafora di una generazione incapace di comunicare con quelle nuove, composte da timidezza, arroganza, debolezza e solitudine tecnologica, ottimamente personificata da Franceschini, Zurzolo, Gorietti e Porcaroli.
Sconnessi: Fabrizio Bentivoglio è il baluardo di una generazione incapace di guardare avanti
A volte freddo, scostante, non sempre in linea con l’agognata promessa di un’originalità totalizzante ed universale, supera gli ostacoli di una trama non molto originale e a volte troppo zuccherosa messa a confronto con l’inquietante parallelismo della realtà quotidiana con cui il pubblico ha a che fare.
Perché alla fin fine Sconnessi è una lente d’ingrandimento su come abbiamo nutrito la nostra insicurezza, il nostro narcisismo facendo del cellulare, dei social, del tablet, di questo nuovo mondo interattivo e freddo, ciò che più di importante vi è nella nostra vita. Abbiamo scambiato apparenza con sostanza, menzogna con verità, quella verità che emerge dalla parole di uno Stefano Fresi perfetto nel fare del suo Palmiro un folle sincero ed arguto, una sorta di stregone perso nella sua mente contorta ma che forse proprio per questo vede ciò che gli altri non vedono, neppure di sé stessi.
Film improntato ad uno scontro generazionale e sociale, ha nei personaggi femminili un mix molto riuscito tra ciò che eravamo e ciò che siamo. Antonia Liskova fa della sua algida e flemmatica Olga l’ambasciatrice della donna che fu, della saggezza delle nonne, angelo irascibile del focolare, assolutamente non emancipata e fiera di esserlo, ma stoica nel suo aggrapparsi ad una realtà fatta di persone e non di cose. La malinconica e depressa Margherita Catenacci (Crescentini) e la sensuale Tea (Gorietti) fanno dei loro due personaggi infine le due facce della stessa figura di donna oggetto, contenitore per l’ereditarietà dell’altro, dell’uomo, sempre più ricco, più potente, più qualcosa ai loro occhi, al quale donano non solo la propria bellezza o il proprio corpo, ma anche le proprie speranze, la propria libertà. I social qui sembrano, più che il male, l’ancora di salvezza di una parte di loro stesse.
Sconnessi è una lente d’ingrandimento su come abbiamo nutrito la nostra insicurezza
E che dire dell’Achille di Memphis? Sopravvissuto a sé stesso, al suo tempo, che si perde in sogni, ambizioni e in un mondo tecnologico che conosce appena più del protagonista, ma che basta a farlo distrarre dalla sua vera vita, da ciò che è, per inseguire miraggi e false promesse su uno schermo. Personaggio apparentemente semplice, è in realtà quello che in sé nasconde il messaggio più universale, che mostra la resa dell’uomo comune, schiacciato dalla tirannia di ciò che ha comprato, di ciò che gli è stato ordinato di desiderare, di volere…
Ed i giovani? Abbandonati a sé stessi, Sconnessi più che dal mondo dalla famiglia, da quella famiglia (pilastro del cinema e della società italiane) che in questo film viene smembrata, distrutta, con padri che si ricordano dei figli solo per i weekend, o per lo scandire delle stagioni che vanno verso l’autunno, madri assenti o impreparate. Ma non sono privi di colpe, anzi, il film di Marazziti, questa commedia-non commedia li dipinge come pigri, rabbiosi, incapaci di comprendere ciò che conta, del tutto succubi non solo della propria immagine, ma sopratutto degli altri, della loro opinione.
Ottimamente coadiuvato dalla scenografia di Simone Micheli e dalla fotografia di Maurizio Calvesi, Sconnessi ci dona uno spaccato della frammentata e sterile società e famiglia italiana in modo molto più umile, discreto e reale di altri film italiani, magari apparentemente più pomposi e arroganti. Peccato che nel finale scivoli nel patetico, che la sceneggiatura ceda troppo alla tentazione di rassicurarci, al sentimentale, che in fin dei conti perda il tema della tecnologia a favore di un esistenzialismo, di uno scontro generazionale importante ma forse mal calibrato col resto. Affronta in ultima analisi molti temi, ma forse troppo timidamente, sfiorando invece di colpire. Rimane comunque meno commedia di quanto sembri, molto meno innocente di quanto prometta all’inizio, sberleffo al popolo degli sberleffi come già visto in Sono Tornato.
Sconnessi è in uscita al cinema il 22 febbraio con Vision Distribution.