Scuola di Polizia: recensione del film

Recensione di Scuola di Polizia, il cult degli anni Ottanta, che sulla scia della tradizione parodistica inaugurata da Carl Reiner e Mel Brooks, innova il genere poliziesco attraverso elementi slapstick da commedia sofisticata

Il franchise di Scuola di Polizia è certamente una delle pietre miliari del cinema d’intrattenimento degli anni Ottanta, grazie a gag esilaranti, personaggi dalla caratterizzazione fuori dal comune come Mahoney (interpretato da Steve Guttenberg), Jones (interpretato da Larvell Jones), Hightower (interpretato da Bubba Smith) e il Comandante Lassard (interpretato da George Gaynes) – giocando tutto su un contrasto già evidente dalla sequenza iniziale, quello di un genere poliziesco reso oscuro e profondo negli anni Ottanta da registi come William Friedkin e Michael Mann in pellicole simbolo come Thief (1981) e Vivere e morire a Los Angeles (1985), destrutturato per mezzo di espedienti slapstick da commedia brillante degli anni Trenta.

Forte del genere parodistico di cui Robert Altman ci diede un breve assaggio con MASH (1969), reso poi grande dal lavoro di autori come Mel Brooks e Carl Reiner sulla destrutturazione dei generi e del tono in pellicole come Frankenstein Junior (1973), Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974), Lo Straccione (1979) e Il mistero del cadavere scomparso (1982) – è in questo terreno fertile, iconico per il nuovo modo di fare cinema negli anni ottanta, che si inserisce il capostipite della saga, Scuola di Polizia (1984), diretto da Hugh Wilson. Il film amplia le potenzialità di un filone cinematografico che, negli anni a venire, sarà caratterizzato dal sapiente lavoro di registi come Jim Abrahams e David Zucker, autori di successi di critica e pubblico come Una pallottola Spuntata (1988) e Hot Shots! (1991), e relativi sequel.

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“Muoversi, muoversi, muoversi”: le gag anni Ottanta di Scuola di polizia

Il principale conflitto alla base della narrazione de Scuola di Polizia, è dato dal contrasto tra i tentativi di farsi cacciare di Mahoney e il Comandante Harris (interpretato da G. W. Bailey) – incarnante l’ideale del Sergente Istruttore integerrimo che sin dalle prime sequenze d’accademia, mostra tutta la sua insofferenza nei confronti del programma “Scuola di polizia” della Sindaca Mary Sue Beal alla base della narrazione. In un crescendo della posta in gioco sempre più alta che, tra l’addestramento all’uso del fucile e della guida sportiva, cresce di pari passo al livello delle gag – rese iconiche nell’immaginario collettivo – la cui più celebre ci mostra cosa può succedere quando una moto a tutta velocità incontra il sedere di un cavallo nel bel mezzo di un ingorgo stradale.  Gag certamente esilaranti, tuttavia tendenti molte volte alla risata strappata per elementi sessisti – oggi quasi del tutto inutilizzabili, ma molto in voga nel cinema anni Ottanta – che inficia e non poco sulla caratterizzazione dei personaggi femminili.

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Fino al terzo atto, dove la sommossa popolare – scatenata inconsapevolmente da uno dei cadetti in una sequela di eventi improbabili – verrà risolta proprio dai poliziotti in odore di diploma, dando così ragione al programma accademico della Sindaca Beal.

La regia di Hugh Wilson – da buon mestierante – non è certamente delle più memorabili del cinema degli anni Ottanta, è vero, ma efficace nel valorizzare una struttura narrativa lineare il cui intreccio, appena delineato da un susseguirsi di gag sempre più esilaranti, permette di esplorare l’ambiente narrativo, riuscendo a far immergere lo spettatore nella vita delle reclute di Scuola di Polizia, tra feste sulla spiaggia, gay-bar, esercitazioni notturne e sommosse popolari.

Scuola di Polizia: un mosaico di personaggi dalla caratterizzazione estrema

Scuola di Polizia, grazie all’espediente dell’Academy, introduce una sequela (quasi) infinita di personaggi bislacchi – ognuno reso unico da una caratterizzazione estrema data da un particolare segno distintivo, e protagonista di un proprio arco narrativo con una specifica evoluzione. A partire dal Cadetto Mahoney, un inetto disposto a tutto pur di farsi cacciare per poi scoprirsi un agente valoroso, e dal Cadetto Barbara (interpretato da Donovan Scott), simulacro del pasticcione sovrappeso, che da oppresso diventa oppressore dei criminali.

Senza dimenticarci poi dei Cadetti Hightower e Tackelberry (interpretato da David Graf) – declinazione rispettivamente di due facce dell’America, quella del gigante nero dal cuore d’oro e dalla forza sovrumana e dell’americano bianco che dorme con la pistola sotto al cuscino – del Comandante Lassard che per quanto esilarante avrebbe meritato uno spin-off tutto suo, e del Cadetto Jones, certamente il più iconico della saga vista la sua attitudine da “rumorista”, il cui duo comico con Mahoney rappresenterà la principale fonte di ilarità nel proseguo della saga.

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A inficiarne, però, la buona riuscita (soprattutto guardando il film con sguardo moderno) sono i personaggi femminili, che in Scuola di Polizia sono relegati a ruoli di comparse, a partire dal Cadetto Thompson (interpretata da Kim Cattrall), semplice “donna oggetto” delle attenzioni di Mahoney a cui non viene dato alcun modo di spiccare nel corso della narrazione, fino ad arrivare al Sergente Callahan (interpretata da Leslie Easterbrook) donna burbera in preda ai propri istinti; un qualcosa insomma, che nel cinema di oggi non sarebbe fattibile, anzi, sarebbe controproducente, ma che negli anni Ottanta riusciva a dare quel contorno in più a una narrazione coinvolgente come quella di Scuola di Polizia.

Una forte trovata comica, invece, è data dalla caratterizzazione di personaggi dei Cadetti Fackler e Copeland, gli antagonisti della narrazione che diventano ben presto vittima degli scherzi di Mahoney e Jones, e del riscatto di Hightower, opponendosi con il loro fare da autentici “soldati americani”, alla cialtroneria di Mahoney e del resto della gang.

Scuola di Polizia: gag esilaranti per un cult movie intramontabile

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A distanza di trentacinque anni dal rilascio nelle sale americane, Scuola di Polizia di Hugh Wilson che potete trovare su Netflix – non subisce il tempo che passa nelle gag cardine della narrazione, o nel concept di base, anzi, è proprio la caratterizzazione estrema in un ambiente narrativo a metà tra Animal House (1978) di John Landis e Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick, la carta vincente di una pellicola intramontabile; quanto piuttosto alcune ingenuità socio-culturali che ne denotano un sessismo alla base che sarebbe difficilmente accettabile nella Hollywood del 2019, molto più attenta ai ruoli femminili come mai prima d’ora.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.2