Se posso permettermi – Capitolo II: recensione del cortometraggio da Venezia 81

Il cortometraggio realizzato da Marco Bellocchio con i suoi allievi a Bobbio, presentato fuori concorso all'81ª edizione del Festival di Venezia

Il lavoro composito tra l’esperienza del maestro e la passione dei suoi allievi, un crogiolo di talento racchiuso in pochi minuti, il prosieguo di un racconto che diverte e, riflettendo, fa riflettere; all’81ª edizione del Festival di Venezia arriva Se posso permettermi – Capitolo II, seguito del cortometraggio omonimo, realizzato nel 2019 da Marco Bellocchio, nell’ambito del corso di alta formazione cinematografica Bottega XNL – Fare Cinema di Bobbio, assieme ai suoi allievi. Prodotto dalla fondazione dello stesso regista, insieme a Kavac Film e Rai Cinema, e presentato, fuori concorso, in coppia con l’altra opera breve di prestigiosa autorialità, Allégorie Citadine, diretto da Alice Rohrwacher, il progetto ritrova Fausto Russo Alesi, nei panni del protagonista, e il figlio dell’autore, Pier Giorgio Bellocchio; ad accompagnarli altri nomi illustri, tra feticci del regista (Barbara Ronchi, Filippo Timi e Fabrizio Gifuni) ed altri interpreti prestatisi volontari per entrare a far parte del progetto (Rocco Papaleo ed Edoardo Leo).

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Se posso permettermi – Capitolo II: l’impiego del disoccupato

Se posso permettermi Capitolo II cinematographe.it

Nel primo capitolo Fausto (Fausto Russo Alesi) si aggirava per le strade di Bobbio con fare sconsolatorio, disincantato, atto a intromettersi, freddo e con estrema schiettezza, nelle vite dei compaesani incontrati casualmente lungo il percorso. Personaggi senza storia, comuni esemplari dell’essere umano fermati dal protagonista che, dopo aver chiesto loro il permesso, si esprimeva senza filtri nel fargli notare vizi, difetti ed irregolarità che riteneva andassero aggiustate.

Il capitolo II, così come il primo, si apre sullo sfondo del cimitero cittadino, dove un breve estratto del celebre monologo dell’Amleto (recitato da Rocco Papaleo) fa da incipit, seguito dall’entrata in scena di un misterioso personaggio (Filippo Timi) e dalla deposizione di una salma presso la tomba di famiglia dello stesso Fausto. Da qui ci si sposta all’interno di una sfera domestica ed emarginata ove si susseguono visite bizzarre, ai limiti dell’assurdo, e ove si rimarca l’indole solitaria, inquieta ed apprensiva di lui, rimasto orfano della madre, che gli permetteva un sostentamento, e ormai sommerso dai debiti perché da sempre disoccupato, perso nella sua nullafacenza e naufragato nella lettura, sua unica occupazione.

Dalla governate (Brabara Ronchi) che rivendica la casa come eredità promessale dalla defunta madre di lui, si passa all’ufficiale dell’Arma (Pier Giorgio Bellocchio) che già nell’episodio precedente aveva provato a combinare il matrimonio tra sua figlia (Giorgia Fasce), ora incinta, e Fausto; da lì il parroco cittadino (Fabrizio Gifuni) lo redarguisce per aver venduto la cappella di famiglia ai mussulmani e gli offre un lavoro come sagrestano, seguito da quell’enigmatica figura della prima sequenza (Filippo Timi), presentatasi col proposito di dar vita ad una casa di fantasmi, e da due ladri (uno è Edoardo Leo) sorpresi dal proprietario di casa che quasi li accoglie, con la sua solita ed innocua ingenuità.

Speculare narrazione dell’indole medesima

Fausto Russo Alesi  cinematographe.it

Commiato triste e divertente” lo ha definito il regista Marco Bellocchio, un commiato che vive tra la mura di quella stessa casa in cui egli è cresciuto e in cui ha ambientato molti dei suoi lavori precedenti, a partire dall’indimenticabile opera prima, I Pugni in tasca. Tale casa fa qui da specchio, da contraltare alla strada e ai vicoli in cui Fausto si aggirava nel primo capitolo, esprimendo giudizi verso l’esterno e proiettando quella schiettezza che non aveva alcuna pretesa se non quella di dare suggerimenti. Ora avviene il ribaltamento, il giudizio va nella direzione opposta, proiettandosi schietto direttamente su di lui, su quel suo annullamento del tutto che lo trascina verso una vecchiaia insapore, condita solo da un’intellettualità fine a sé stessa. Rimane quel tono che racconta un’ironica tristezza, che combatte l’isolamento di un uomo diverso, attraverso il continuo confronto con situazioni esilaranti, gag architettate con intelligenza e mai esagerate, studiate con precisione sulla forza espressiva dei suoi interpreti. Prima Fausto esprimeva senza filtro, ora ascolta senza alcuna protezione, inerte, incapace di reagire, lasciando che siano gli altri a permettersi di giudicare, di porlo davanti al suo essere difettoso.

Se posso permettermi – Capitolo II: valutazione e conclusione

Vi è quindi tutta la saggezza, tutta l’esperienza di un autore che dà spessore al tema tramite dialoghi sferzanti, dialoghi che poggiano sul fascino letargico di un protagonista a cui ruota attorno un manipolo di personaggi bizzarri, di situazioni ai limiti del grottesco. Bellocchio porta con sé interpreti che più che colleghi sono amici, familiari, suoi storici collaboratori che all’interno della sua dimora, e tra le strade che egli conosce sino al dettaglio, si muovono come una macchina collaudata alla perfezione. Traspare quanto tutta la troupe si sia divertita nel realizzare questo progetto che, non va dimenticato, conta anche sul lavoro di giovani studenti pronti ad entrare nell’universo cinema con il giusto passo, quello mostratogli da un cineasta in piena libertà espressiva, un regista che si muove libero sia nella forma che nella narrazione, creando una realtà che ci auguriamo possa continuare ad esprimersi nel tempo, di capitolo in capitolo sempre più emancipata, svincolata da qualsiasi freno, una perfetta espressione di autorialità, di riverenza e di passione artistica.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.7