Se questo è amore: recensione del documentario dell’israeliana Sarfaty
Una storia complessa sulla duplicità dell’essere umano resa ancora più tangibile e bruciante dal filo spinato del campo di concentramento.
Sentimento, infatuazione, interesse, o, più semplicemente, Sindrome di Stoccolma? Se lo chiedono i prigionieri di Auschwitz e chi guarda Se questo è amore, il documentario della regista israeliana Maya Sarfaty, distribuito da Wanted Cinema con il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) disponibile dal 27 gennaio, Giornata della Memoria, sulle piattaforme Tvod (Wanted Zone, Iorestoinsala, MioCinema, Keaton, Chili, Cg Home Entertainment).
Una storia complessa sulla duplicità dell’essere umano resa ancora più tangibile e bruciante dal filo spinato del campo di concentramento (“Se muori di fame e ricevi un piccolo pezzo di mela, non ammetteresti che è un brav’uomo?”)
Se questo è amore tra Franz ed Helena
Orrore e crudeltà da un lato, bontà e profondo affetto dall’altro in Se questo è amore. È ciò che vivono giorno dopo giorno dal 1942, arrivo ad Auschwitz, al 1945 con la fine della guerra, Helena Citron, ebrea slovacca prigioniera nel campo, e Franz Wunsch, ufficiale SS di appena vent’anni.
Sono la bellezza e il canto di Helena a far innamorare Franz. Un amore proibito che la salva dagli stenti, dalla fame e dalla malattia. Helena gode di una sorta di immunità e grazie a lei sono state tante le persone salvate dalle camere a gas. Ma Franz è anche è un “sadico”con i prigionieri maschi, una faccia della medaglia che disgusta Helena.
Si può considerare Franz malvagio? Eppure cura Helena dal tifo, salva la sorella Rozika, offre loro cibo, scarpe e vestiti caldi: tutto ciò di cui venivano privati gli altri prigionieri. “Mi amava da impazzire”, racconta Helena in un’intervista, ricordando un sentimento che l’ha messa anche in difficoltà. L’invidia delle altre ragazze del campo esplode in insulti, molestie e in accuse. La prigionia abbrutisce e trascina verso i più bassi istinti per sopravvivere.
La fine della guerra e il dilemma di Helena Citron
Ma il momento di fuggire da Auschwitz arriva. Gli ultimi momenti insieme sono struggenti: “Sii prudente, Helena. Ti ho amato molto”, le dice. “Ti prego Franz, non dimenticarmi”, queste le ultime parole di lei e poi un lungo bacio.
Prima di varcare la soglia del cancello di Auschwitz, Franz le fa una richiesta che dà il senso della paura del momento: “Se il mondo dovesse capovolgersi, mi aiuterai come io ho aiutato te?”.
La guerra è finita ma il giovane ufficiale non ha mai dimenticato il volto e la bella voce di Helena. Cerca di contattarla con l’aiuto della Croce Rossa: lei è viva ma è tornata in Israele. Nel 1972, trent’anni dopo la tragedia dell’Olocausto, la moglie di Franz la implora di testimoniare in favore del marito al processo di Vienna. Un lettera che porta a galla ricordi e interrogativi accantonati e che mette Helena davanti a un dilemma umano.
Maya Sarfaty e la ricostruzione di Auschwitz
Le testimonianze e le interviste ma anche gli articoli di giornale, il diario di Franz e gli stessi documenti del processo di Vienna sono il cuore di Se questo è amore, una storia leit motiv dell’attività di Maya Sarfaty già regista vincitrice nel 2016 dello Student Academy Award per il documentario The Most Beautiful Woman sempre dedicato ad Helena Citron.
Una vicenda così incredibile e allo stesso tempo così delicata che ha beneficiato dei racconti dei due sfortunati amanti, dell’aiuto dei loro familiari e dei sopravvissuti ai campi di concentramento. I fatti vengono così ricostruiti dettagliatamente grazie ai diversi punti di vista coinvolti e che permettono di osservarli in tutta la loro complessità.
“Per come la vedo io, l’aspetto più importante di questo film è la percezione della polarizzazione tra bene e male, soprattutto per il momento storico che stiamo vivendo. Questo è ciò che rende la storia tanto importante da dover essere raccontata – dice la regista -. Se questo è amore solleva inevitabilmente questioni etiche che riguardano i protagonisti del passato. Si sforza di sospendere il giudizio offrendo una visione umana della loro vita durante quel terribile periodo nel campo di concentramento e degli sforzi che avrebbero dovuto compiere in seguito per tornare a vivere”.
Il montaggio e la tecnica 3D
E se tutto ciò non bastasse, a rendere così intenso Se questo è amore è il realismo delle immagini d’archivio e le foto sopravvissute alla distruzione di Auschwitz.
Attraverso il fotomontaggio multistrato che crea un particolare effetto 3D le foto, seppur statiche, prendono vita. Sono, infine, gli effetti sonori (il fruscio delle pagine dei documenti, il latrato dei cani, gli spari) a chiudere il cerchio e a far vibrare le corde della Memoria.