Sempre amici: recensione del remake con Bryan Cranston e Kevin Hart
Recensione di Sempre amici, il superfluo remake di Quasi amici distribuito da Amazon con Bryan Cranston e Kevin Hart come protagonisti
Quando nel 2011 è uscito Quasi amici (Intouchables) ha segnato un successo sorprendente, travalicando i confini nazionali e riempiendo in breve le sale di tutto il mondo. Da lì si sono succeduti i remake provenienti dall’Argentina e dall’India, a cui era scontato si aggiungesse l’adattamento statunitense. Sempre amici (The Upside) è arrivato nelle sale americane ad inizio 2019 – dopo un posticipo dovuto al caso Weinstein, che figurava come uno dei produttori del film – per essere poi distribuito in Italia direttamente su Amazon Prime Video, dove è ora disponibile. Il film, che nell’impianto della trama ricalca pressoché fedelmente l’originale francese, segue la storia di Dell, un ex detenuto di colore privo di motivazioni e senza lavoro che viene inaspettatamente assunto come assistente alla persona di Phillip, un miliardario bianco vedovo e tetraplegico. Nonostante la forte contrarietà della segretaria di Phillip Yvonne, l’impiego di Dell – inizialmente rocambolesco – permetterà ai due uomini di formare un legame in cui si apriranno gli occhi a vicenda sulle questioni personali che impediscono a entrambi di vivere una vita soddisfacente.
Sempre amici ricalca il predecessore francese senza alcuna originalità e perdendone la freschezza
Gran parte del successo e del fascino che Quasi amici aveva riscosso universalmente era dovuto al suo essere una storia vera riadattata per lo schermo con un equilibrato bilanciamento tra i toni leggeri della commedia e quelli più toccanti del dramma, riuscendo a scivolare nella trattazione dei rapporti interraziali e di classe e nel tema della disabilità con freschezza e dinamicità. Certamente non mancavano i punti deboli, come una serie di caratterizzazioni stereotipate e un certo buonismo semplicistico, ma questi venivano superati dalla carica dei due protagonisti e dalla brillantezza delle situazioni tra loro proposte.
Il principale problema del ramake statunitense sta nel fatto che, venuta già a mancare l’originalità della storia, i limiti del film di Nakache e Toledano vengono qui amplificati. La sceneggiatura che riadatta il film francese cerca di restare in una confort zone che ricalca pedissequamente il predecessore – al di là di minime divergenze narrative sulla famiglia del protagonista di colore e sulla parte finale – senza apportare nulla di nuovo al racconto. Inoltre manca completamente quella verve e quell’omogeneità narrativa che contraddistingueva l’opera prima e che qui sparisce completamente, sostituita da un incedere forzato e stanco, che non riesce a replicare l’ispirazione dei dialoghi originali.
Sempre amici è un remake debole e di cui non c’era necessità, dove manca anche la brillante sintonia tra i due protagonisti che segnava la forza di Quasi amici
Il film diretto da Neil Burger manca completamente di quel senso dell’umorismo e di quella dolcezza presente nel lavoro originario. Non ci sono mai vere risate durante la visione e non si riesce neppure a stabilire un vero legame tra lo spettatore e i protagonisti, andando così a disperdere anche la componente emozionale della vicenda. D’altra parte a latitare è anche una sincera connessione emotiva tra i due personaggi, per limiti di scrittura sicuramente ma anche per mancanza di chimica tra gli interpreti.
Bryan Cranston è appropriato per la parte e offre una performance discretamente credibile, tuttavia manca di quell’impronta sofisticata che Francois Cluzet riusciva a dare al suo Philippe. Kevin Hart si dimostra invece una scelta totalmente errata, risultando finanche fastidioso e spesso fuori luogo nel modo di calarsi nella parte, lontano anni luce dalla dirompenza di Omar Sy. Tra i due non si crea mai la giusta intesa – salvo rari passaggi – non riuscendo mai ad andare oltre i cliché che rappresentano o a farli dimenticare, compromettendo così ulteriormente la resa di questo remake. Inoltre viene completamente sprecato il potenziale di Nicole Kidman, con un personaggio secondario abbozzato e lasciato a margine, senza sfruttare a dovere le caratteristiche e la bravura dell’attrice, ridotta a semplice apparizione volta ad attrarre pubblico in sala.
Si sarebbe potuto dare nuova linfa al racconto con un approfondimento sulle diseguaglianze sociali e uno sguardo realistico sul tema della diversità, smussando gli stereotipi – qui invece amplificati – e rinnovando il reparto comico. Invece regista e sceneggiatore scelgono di riproporre un modello già utilizzato, senza metterci un’anima (e privandolo di quella che c’era precedentemente) con il risultato di produrre un lavoro deludente, trascurabile e carente sotto quasi tutti i punti di vista. Si salvano una buona fotografia e la cura delle ambientazioni, ma sono davvero poca cosa nel complesso di un film fiacco e assolutamente non necessario.