FEFF 2021 – Seobok: recensione del film di Lee Yong Zoo
Seobook mixa stili e generi in un film dalla regia intrigante, presentato al Far East Film Festival 2021.
Presentato al Far East Film Festival 2021, l’ultimo film di Lee Yong Zoo, Seobok, traghetta gli spettatori verso un mondo in cui fantascienza e azione si mescolano, determinando il destino dei personaggi principali e, di fatto, il futuro di tutta l’umanità per come la conosciamo adesso.
Il protagonista di Seobok è Ki Heon, un uomo ex agente dei servizi segreti ormai ritiratosi incaricato di trasportare in sicurezza un prototipo di clone umano, il primo della sua specie, che ha lo scopo di aiutare a risolvere diversi problemi medici degli umani, tra cui anche il tumore che affligge Ki Heon stesso. Com’è prevedibile, il percorso dei due non è semplice, sottoposti a pedinamenti e attacchi da diverse organizzazioni interessate a mettere le mani sul clone ancora sfornato. Tra l’ambientazione di fantascienza e il trattamento action riservato a tutta la vicenda, il film di Lee Yong Zoo diventa un lungo racconto fatto di immagini curate, strette sui volti dei protagonisti, e di dialoghi scarsi e didascalici, pronto a snodarsi tra i numerosi nemici da sconfiggere e pericoli a cui scampare.
Seobok: fantascienza e azione
Seobok e i suoi sceneggiatori si preoccupano fin dal principio a definire la delicatezza di questo progetto, tanto prezioso quanto instabile, ribadendo la segretezza degli studi che si stanno portando avanti nei laboratori e i rischi che i protagonisti incontreranno lungo il loro cammino. Fin dalle prime immagini, inoltre, si instaura un rapporto tra Ki Heon e il clone Seobok che si definisce attraverso le continue domande che l’automa rivolge al suo accompagnatore che, in piena ingenuità, sono dirette e semplicemente enunciate sebbene riguardino i più grandi misteri della vita umana.
Si crea così una certa distorsione tra la dimensione dei combattimenti che i protagonisti affrontano e le grandi questione che cercano di sviscerare. Si cerca insomma di dare risposta al grande senso della vita tra un colpo di pistola e lunghi silenzi: la dimensione estetica del film si basa su immagini esagerate, inquadrature curate e immediate nella loro registrazione fotografica, mentre i dialoghi prediligono parole semplici per fare domande che metterebbero in difficoltà anche i filosofi più navigati. In questo lo scopo principale del clone umane si riflette nelle conversazioni dei due, così l’utilizzo medico ed etico di questa nuova generazione di androidi, si traduce anche in una presa di coscienza lenta e inesorabile delle realtà umane. Tutto questo in un film punteggiato da lunghi intervalli da videogame sparatutto.
L’intrigante regia di Lee Yong Zoo in Seobok
Dalla visualità dei videogiochi discendono anche le scelte delle inquadrature, strettamente funzionali al percorso narrativo ma anche dotate di un certo appeal intrigante. Le luci soffuse e l’ambientazione notturna di quasi tutti gli episodi principali definiscono ancora di più lo spirito crepuscolare di Seobok che approfitta di questa ambiguità di genere per non scendere in spiegazioni dettagliate, lasciando quindi intuire che il crepuscolo che caratterizza tutto quanto si riferisca sia al viaggio che volge al termine, sia all’umanità nel suo complesso. Complice una commistione di stili e generi non sempre fluida nella sua alternanza e la mancanza di continuità tra dialoghi e aspetti visivi, Seobok risulta ostico a una visione continuamente focalizzata. Tra lunghe digressioni action e dialoghi didascalici, l’attenzione del pubblico affronta tanti cambiamenti e molti ostacoli non sempre semplici da superare, soprattutto considerando le due ore complessive di durata del film, rendendo Seobok un’opera da affrontare già coscienti di quanto ci si appresta a vedere.