Sharp Corner: recensione del film con Cobie Smudlers e Ben Foster, da Roma FF19
Jason Buxtor, autore di Blackbird del 2012, dirige Ben Foster e Cobie Smudlers nel thriller psicologico Sharp Corner. Un film sconvolgente con un ottimo cast e che porta il regista sul grande schermo dopo 12 anni. Presentato nella sezione Gran Public alla 19ª Festa del Cinema di Roma, Sharp Corner è un film assolutamente da vedere. Il racconto della metaforica discesa negli inferi di un uomo, degli albori di quella che potrebbe diventare un’ossessione e un bisogno impellente, pronto a tutto pur di soddisfare.
Sharp Corner: bruciante e incandescente anche senza fiamme
Sharp Corner potrebbe sembrare un thriller psicologico, l’inizio di un incubo che ruota attorno a una villa lontano dai rumori assordanti e dal caos convulso delle metropoli. Una “casa dei sogni” che si erge vicino a un bivio, a una curva pericolosa che fa sbandare e capovolgere le macchine che, ignare, sfrecciano sull’asfalto. Il film di Jason Buxton inizia così: un incidente d’auto che sembra un caso isolato, una macchina che va a finire contro un albero nel prato dei 2 coniugi, Josh e Rachel, una ruota che vola e sfonda il vetro finendo nel loro salotto della villa. Un evento che turba profondamente Josh, ma che gli lascia addosso anche una sensazione costante di intrigo e indagine; prima mera curiosità poi ricerca quasi morbosa di conoscere i volti, le vite e il passato di quelle persone che ha visto morire nel proprio giardino. Lo racconta addolorato, amareggiato, ma con una nota di strana smania di stupire, di voler vedere gli occhi degli amici sconcertati di fronte a una cena che diventa improvvisamente interessante quando l’argomento di conversazione è la morte, quella più atroce.
Il protagonista, un notevole Ben Foster, è l’incarnazione umana dell’ossessione, quella più macabra e maniacale, che nasce dapprima infima di fronte al tragico che affascina, al brutale che sconvolge e all’ingiustizia che strugge. Un’arbitraria, immotivata e irragionevole casualità che non si può tollerare si trasforma in una spasmodica ricostruzione delle dinamiche di un’incidente. Ma immaginarlo, guardare un video e frequentare un corso di primo soccorso non sono abbastanza. L’adrenalina in crescendo, l’ostinato dovere di proseguire, l’ipotesi di riuscirci è qualcosa di sempre più assillante e incessante. È quello che il personaggio di Josh vuole, senza chiedersi perché, consapevole solo che non può farne a meno. Tutta la sua anima sembra invasa e permeata di un’unica meta, che lui vive come un traguardo. La sua natura affiora come asfissiante minuto dopo minuto. Se all’inizio forse esagera, e dopo il suo pensiero è fisso e martellante, cosa potrà accadere dopo? Perché per tutto c’è un punto di non ritorno e quel padre amorevole e marito premuroso e innamorato non può arrivare a tanto.
Uno straordinario Ben Foster prima equivoco e incerto poi netto e trasparente
Sharp Corner è l’inizio della follia, di una furia omicida che non ha niente né nulla di impetuoso o violento, ma che vede nell’incalzante scalinata di gradini verso un’azione dal quale non si può recedere, un progetto, un prospetto, una serie di piccoli passi, di dettagli da sistemare affinché il disegno sia perfetto. L’efficacia di Sharp Corner è tutta nel suo protagonista, in un uomo che sarebbe potuto rimanere saldo e statico nella sua quotidianità. C’era dentro di lui qualcosa che si muoveva, un tarlo mordente che, tra una promozione mai arrivata e una monotonia dove credeva di essere felice, aspettava solo il pretesto per fuoriuscire e manifestarsi in tutta la sua insensatezza. Sharp Corner è un film all’avanguardia, è la possibile nascita di un assassino, che potrebbe mietere più vittime, senza mai rendersi conto, assaporando solo quel senso di onnipotenza che mai lo aveva contraddistinto, ma che improvvisamente lo fa sentire vivo. Sharp Corner è spiazzante e disorientante, basico nella narrazione e impeccabile nella regia e nella sceneggiatura, disseminando continui indizi su un essere umano protagonista di una metamorfosi sorprendete. Tanto straordinaria quanto tetra.
La regia è la raffigurazione visiva dell’animo ambiguo di un protagonista che sta cambiando: scene spente, estreme, asimmetriche, che riprendono Ben Foster come una silhouette buia, simbolo di un’oscurità che invade la scena, con la fotografia e il montaggio che si modella quando il protagonista assiste, e si distorce quando invece è lui a causare. Il Josh di Ben Foster, astuto e freddo calcolatore, compone, crea, idea e dà origine al suo vero essere; quello che era un incidente è stato per lui una svolta di vita. Il bisogno che quel barlume di novità e di fuori dall’ordinario accadano di nuovo, che quella sensazione ritorni, che si carichi ancor di più d’intensità e di pericolo, per far sì che lui ne possa essere parte attiva, che possa sentirsi necessario, salvatore e guaritore di un male. Quello stesso male che desidera solo avere il potere di controllare. È impossibile staccare gli occhi da Sharp Corner, perché il cambiamento della vita, dell’essenza, della psiche e della natura di Josh inizia dalle piccole cose: è minima, infinitesimale, quasi invisibile. Prima di uscire dall’ombra, diventare percepibile, poi evidente, alla fine innegabile. Troppo pregnante di cattiveria per essere ammissibile, e troppo allucinante per non essere spaventosa.
Sharp Corner: valutazione e conclusione
Sharp Corner è scioccante, imprevisto, estremamente coinvolgente in una trasformazione che potrebbe essere irreparabile, che sta sempre per oltrepassare un limite, un muro che si può scavalcare solo da una volta. Ben Foster usa tutto il linguaggio del corpo per interpretare una figura terribile, irragionevole e folle, ammaliato dal fuoco che brucia in una macchina che esplode, dal sangue che fuoriesce dalla bocca, dai vetri che trafiggono il petto e il torace. Le pupille dilatate di Ben Foster non riescono a distogliere lo sguardo da quel precipitoso deterioramento e perdita delle proprie forze, dalla morte che sopraggiunge, dalla paura, lo sconforto e alla fine l’accettazione, prima di esalare l’ultimo respiro. Per lui c’è qualcosa di indicibile, eccezionale, sfuggente e indescrivibile in un corpo che diventa improvvisamente senza vita. Quella brama di potere, di essere lui primo e unico fautore e spettatore di un’anima e una vita che ritornano, sono una scarica di adrenalina a cui non può rinunciare.