Signs: recensione del film di M. Night Shyamalan
La recensione di Signs, il film di fantascienza del 2002 firmato M. Night Shyamalan con Mel Gibson e Joaquin Phoenix.
Dopo aver raggiunto il successo con The Sixth Sense – Il Sesto Senso e Unbreakable – Il predestinato, M. Night Shyamalan torna sul grande schermo con Signs del 2002, un thriller fantascientifico che strizza l’occhio a Spielberg e ruota tutto intorno ad un gioco, appunto, di segni, intesi nel senso più ampio del termine, ma ne parleremo in seguito.
La pellicola vanta la presenza di due attori di prima fascia nel ruolo di protagonisti, come Mel Gibson (Arma Letale, Braveheart – Cuore impavido, Il patriota) e Joaquin Phoenix (The Master, Her, Vizio di Forma), affiancati dai giovanissimi Rory Culkin (Vizio di famiglia, Una voce nella notte, Down in the valley) e Abigail Breslin (Little Miss Sunshine, Benvenuti a Zombieland, Ender’s game). A completare il cast ci sono infine Cherry Jones (24, The Village) e lo stesso Shyamalan, che, come suo solito, appare su schermo in un ruolo minore.
In Signs, Graham Hesse (Gibson) è un pastore protestante, ritiratosi dal sacerdozio dopo aver perso la fede a causa di un grave lutto che ha colpito la sua famiglia. Ora vive nella campagna della contea di Bucks, Pennsylvania, con i suoi due figli, Morgan (Culkin) e Bo (Breslin), ed il fratello minore Merril (Phoenix), trasferitosi da casa sua per stare vicino alla famiglia.
Nella difficile fase di elaborazione del lutto cominciano ad accadere degli eventi misteriosi. Il primo e più eclatante è la comparsa di enormi cerchi nel campo di grano della proprietà degli Hesse.
Dopo aver cercato una spiegazione razionale all’accaduto, cominciano ad arrivare da tutto il mondo testimonianze di eventi simili, accompagnati da avvistamenti sospetti e altri strani fenomeni riguardanti soprattutto la stabilità emotiva degli animali. Contemporaneamente Graham, in qualità di capo famiglia, cerca in ogni modo di impedire che la situazione in casa, già sull’orlo di una crisi profonda, precipiti definitivamente. Ma negare la verità non porta mai a nulla e i problemi seppelliti senza essere affrontati sono sempre pronti a tornare a galla.
La fine del mondo costituisce probabilmente un buon motivo per guardarsi dentro e fare pace con i propri demoni. La sopravvivenza della famiglia Hesse è appesa ad un filo.
Signs: siamo soli?
La filmografia di Shyamalan ci presenta un cineasta poliedrico, che non ha alcuna paura di sperimentare e di mettersi in gioco, ma anche lo specchio di una carriera costellata di alti (pochi, ma importanti) e bassi (sicuramente in un numero maggiore, ma mai troppo gravi). Questo Signs è una pellicola difficile da collocare e difficile da definire, ma ha al suo interno pregi e difetti tipici della poetica del regista indiano.
Strizzando l’occhio un po’ a La Guerra dei Mondi, il romanzo, e un po’ a Steven Spielberg, che di quello stesso racconto ne farà un film pochi anni dopo, Shyamalan ci presenta una storia che ha tutta l’aria di affrontare la tematica dell’invasione aliena. Classico il tema e fin troppo classico l’incipit, con l’introduzione dei cerchi del grano, uno degli evergreen per chiunque si sia mai affascinato ai fenomeni extraterrestri. In realtà basta andare avanti di qualche scena per capire come ci sia naturalmente qualcosa di più da scoprire e da vedere.
Signs è un film sui simboli (da non confondere con il simbolismo) e sulle coincidenze della vita, ponendo la visione di ognuno di noi come ago della bilancia nella lettura o meno di questi ultimi. Padre Graham, dopo aver perso la fede a causa della morte della moglie, è ormai convinto che non ci sia nessuno a guardarci da lassù, a proteggerci e a guidarci. Ma il destino lo porrà di fronte alla prova reale e tangibile che non siamo soli, anzi, probabilmente non lo siamo mai stati. Per salvare la propria famiglia l’ex pastore dovrà recuperare dal suo passato i segni che Dio gli ha mandato per bocca della moglie e costringersi a “vedere”.
Le coincidenze non esistono.
Signs: un’opera imperfettamente riuscita
Phoenix svolge alla perfezione il suo ruolo, facendo intravedere il grande talento che esploderà qualche anno dopo. Al contrario, Gibson continua la sua discesa verso l’incapacità di esprimere emozioni e ricoprire ruoli complessi, ma, essendo un attore scaltro e navigato, riesce comunque a reggere la narrazione e a dare una prova quanto meno credibile. Anche se la maggior parte delle volte, quando c’è Graham sulla scena, vediamo il protagonista di We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo o, in parte minore, de Il patriota. Niente da dire invece sui due giovanissimi attori, molto bravi in due ruoli, alla lunga, non poco irritanti.
Il problema di Signs sta nella sua scrittura. Una storia che indaga delle vicende umane anche ben concepite, ma il modo in cui piano piano il nodo interiore della famiglia Hesse si scioglie è banale, semplice, prevedibile e piuttosto piatto. Questo specialmente nei momenti chiave, quelli catartici, come il dialogo tra i due fratelli o l’incontro con gli alieni (alieno), in cui non si avverte nessun senso di trasporto o sorpresa. Questo a causa della scelta di soluzioni narrative sempliciotte, scontate e, sinceramente, con poco mordente. Lo svolgimento pratico della storia a volte irreale contribuisce a non dipanare mai la nebbia tra lo spettatore ed il film, lasciando prevalentemente un senso di torpore nella visione.
A proposito degli alieni, essi svolgono la funzione di deus ex machina dell’intera vicenda, fornendo al protagonista la prova che i segni esistono e devono essere presi in considerazione, contro ogni forma di scetticismo e rifiuto. Loro stessi metafora vivente che qualcosa in più esiste sul serio.
Il film non convince e non cattura mai sul serio, dando un senso di grigiore più o meno per tutto il minutaggio, ma, nonostante questo, Shyamalan riesce a comunicare l’autenticità del suo pensiero cinematografico ed esige rispetto per la sua volontà di mostrarsi in prima persona e di mettersi sempre in prima linea, riuscendo, proprio alla fine, ad arrivare comunque allo spettatore.
Dulcis in fundo, buonissimo il tema ricorrente della colonna sonora.