Sir Gawain e il Cavaliere Verde: recensione del film Amazon Prime Video
Lo scapestrato Sir Gawain, fragile nipote di Artù, si imbarca in un impervio viaggio di iniziazione per affrontare il Cavaliere Verde, che un anno prima l'ha pubblicamente sfidato di fronte al Re.
Quando qualcuno inizierà ad analizzare seriamente la filmografia del regista David Lowery, lo farà partendo probabilmente dal concetto di morte. Perché Lowery ama la morte. O almeno, sembra morbosamente affascinato da essa. Pensiamo a Storia di un fantasma (2017), o persino a Il drago invisibile (2016): la molla narrativa è sempre data da un’assenza, una privazione, un istinto di decadenza e finitezza. Sir Gawain e il Cavaliere Verde – su Amazon Prime Video dal 16 novembre 2021, senza passare dalla sala cinematografica – rappresenta il non plus ultra di questa vocazione poetica.
Il film è ispirato a un classico della letteratura cavalleresca del XIV secolo (anonimo) e cambia letteralmente i connotati al sottogenere fantasy-avventuroso: in scena c’è un nipote di Re Artù libertino, ai limiti della codardia e del vagabondaggio, che ammira e aspira alla grandezza senza avere la minima idea di quali siano i suoi doveri. Gawain è goffo, non sa come sopravvivere e vive la vita come un eterno gioco, senza mai esporsi in prima persona. Fino a quando non sarà proprio un presunto “Gioco di Natale” a modificare il corso della sua esistenza.
Sir Gawain e il Cavaliere Verde: aspirare alla grandezza
Difficile definire in modo chiaro e netto Sir Gawain e il Cavaliere Verde. Potremmo connotarlo come stravagante horror popolare, o come misterioso film metafisico. Di fatto, siamo di fronte a una delle esperienze immersive più potenti e surreali degli ultimi anni. Un’opera fluida (grazie alla fotografia fumosa di Andrew Droz Palermo e alle musiche di Daniel Hart, che mescola folk tradizionale e synth oppressivo) e imprevedibile, che sfida le aspettative tradizionali del pubblico fin dalla sua prima importante scena madre, quando durante un banchetto le porte della sala si aprono ed entra in scena il Cavaliere Verde, metà uomo e metà albero.
Il gigante offre un accordo: sfida qualsiasi cavaliere di Artù a colpirlo. Se qualcuno ci riuscirà, avrà in cambio la sua imponente arma. Ma c’è un costo. Un anno dopo, il vincitore dovrà recarsi alla Cappella Verde, dove il Cavaliere Verde gli restituirà esattamente il colpo datogli un anno prima. A raccogliere il guanto di sfida è proprio Gawain, il cui più grande desiderio è mettersi in mostra davanti ai “grandi” personaggi che lo circondano. Vinto il duello, alla responsabilità stavolta non potrà proprio sfuggire, e così, 365 giorni dopo, sarà costretto a mettersi in viaggio. Da solo, senza alcuna esperienza e con una vaga idea di ciò che lo aspetta fuori dalle mura amiche.
Volpi parlanti, sante decapitate e incantesimi spezzati
Il viaggio è ipnotico, estenuante, onirico, debitore dei pellegrinaggi trasognati dei film di Bergman. Gawain si imbatte episodicamente in estranei le cui intenzioni sono sinistre. Tre briganti, una santa decapitata e una coppia benestante e ambigua: da ognuno di essi Gawain impara qualcosa, mentre noi spettatori (casomai ci fosse ancora qualche dubbio) comprendiamo in modo definitivo di avere a che fare con un antieroe in conflitto tra onore e sopravvivenza. Un personaggio quasi da burla, che lungo il percorso dà retta a una volpe parlante e che in un probabile stato di confusione / allucinazione chiede a dei giganti di poter salire sulle loro spalle per permettergli di raggiungere prima la sua meta.
Sir Gawain e il Cavaliere Verde è costellato di sollecitazioni e stranezze, tali da rendere necessaria una seconda visione. Senza alcun dubbio, per leggere meglio tra le righe (qual è il vero ruolo della madre di Gawain, ritenuta una strega? Perché la giovane amante del ragazzo e la dama da lui incontrata nel bosco sono interpretate entrambe da Alicia Vikander?); ma anche per apprezzare in ogni particolare alcune soluzioni di regia spiazzanti (come il campo lungo che sposta avanti il tempo nel futuro) e rivivere con una diversa e maggiore consapevolezza gli ultimi debordanti e inafferrabili 20 minuti. Può piacere o non piacere, Sir Gawain, ma di certo non lascia indifferenti. Fosse anche solo per la sua capacità di portarci “fuori”, lontani dal quotidiano, verso un’esperienza diversa da qualsiasi altra cosa.