RomaFF13 – Skate Kitchen: recensione
Skate Kitchen è un elaborato sulla femminilità originale e profondo, che forse perde un po' di forza a causa della sua dilatazione.
La scoperta della femminilità passa sulle rotelle per il nuovo film della regista Crystal Moselle (The Wolfpack, That One Day). Skate Kitchen è la crescita della protagonista Camille, una sfrecciata nell’adolescenza a cavallo di quella tavola che la giovane porta sempre sotto braccio e che le permette di trovare una valvola di sfogo nella sua intricata vita.
Nella periferia di New York, Camille (Rachelle Vinberg) e sua madre non riescono ad intrattenere un rapporto senza litigare. La ragazza si sente soffocata dall’apprensione del genitore e l’unica maniera per lei di sfuggire da quella realtà è andare sullo skateboard. La passione di Camille la spingerà fino alla Grande Mela, in cui troverà un nuovo – e per lei primo – gruppo di amiche. Tra trick sempre più complessi e conoscenze che entreranno a far parte della sua vita, per la giovane questo sarà il momento più importante della sua formazione.
Skate Kitchen – La scoperta della femminilità e l’indipendenza
Crystal Moselle, insieme alle sue sceneggiatrici Jen Silverman e Aslihan Unaldi, compiono un elaborato sulla femminilità davvero interessante. Annullano gli stereotipi conosciuti, non solo perché le sue protagoniste sono ragazze che amano andare sullo skateboard, ma mostrandosi in grado di rendere situazioni e questioni della sfera femminile più ricollegabili alla quotidianità di tanti bei discorsi e abbellimenti spesso non richiesti.
È una condizione inquieta quella da cui parte la protagonista, che la porterà a cercare lontano dal nido materno un’indipendenza forzata, che spera possa condurla in quell’esistenza adulta di cui ha l’impressione che le sue amiche già facciano parte. È trovando queste ragazze intraprendenti che la ragazza compenserà l’allontanamento dalla casa sicura e, soprattutto, da quella figura – sempre femminile, il che è fondamentale – della madre, cercando il confronto più ampio con individui appartenenti alla propria generazione e al proprio genere.
È il tempo della giovinezza quello che attraversa Camille, delle foto condivise su Instagram e le feste promiscue, in cui saprà maturare sotto i diversi punti di vista dello spettro umano, comprendendo cosa si prova in condizioni quali l’amicizia, il risentimento, la rabbia, l’amore. Tutto questo credendo di avvicinarsi con ogni passo al proprio essere finalmente donna, accorgendosi alla fine che, come in ogni circolo vitale, è sempre al principio che ci si ritrova a tornare.
Skate Kitchen – Quella dilatazione eccessiva del tempo…
Vere skaters si susseguono con piccole esibizioni davanti alla camera fluida della regista americana Moselle, la quale dedica un tempo considerevole ai movimenti agili e veloci dei personaggi e che, per riprendere fiato dopo l’affanno per inseguirli, riserva loro dei quadretti di riservatezza in cui confrontarsi, dove scambiare quelle informazioni personali che aiutano a delineare la femminilità prima propria e poi universale. Una maturazione della persona che deve passare tanto dall’ostacolo dell’assorbente interno quanto all’affermazione della fiducia e il suo successivo tradimento. Avvenimenti conosciuti che la sceneggiatura ha saputo ricolmare di sensazioni e significati altri, espressi con acume.
Dispiace che la dilatazione eccessiva del racconto, ma ancor più l’associazione inefficace tra la tipologia di ritmo utilizzato e la durata del film depotenzino nella sua totalità l’opera, che non può che risentire del peso del tempo della visione, che non riesce a proseguire per l’intera durata in modo attento e, quindi, costantemente comunicativo. Su uno skateboard che la condurrà per ostacoli ben più complessi di un salto da una rampa, Camille è tra le giovani donne di un cinema indipendente che cerca di spiccare imparando a conoscersi da sola e in relazione con gli altri, in un racconto che va a far coincidere l’inizio e la fine, per poter poi salire di nuovo in sella e ricominciare.