Roma FF16 – Softie (Petite nature): recensione del film di Samuel Theis

Un racconto di formazione e di autodeterminazione, attraverso la scoperta della propria sessualità: Softie viene presentato ad Alice nella Città 2021.

Softie (Petite nature) è un film del regista francese Samuel Theis, presentato alla sezione indipendente della 16ª Festa del Cinema di Roma, Alice nella città. Attraverso una rappresentazione autentica e molto realistica della vita di un bambino, Johnny, scopriamo le difficoltà legate ad una famiglia disfunzionale: una madre sola e con problemi di alcol, un fratello maggiore assente e chiuso e una sorellina piccola a cui badare. Johnny, l’unico evidentemente in grado di farsene carico, deve prendere in mano le redini della sua famiglia, ma un bambino di soli 10 anni alle soglie dell’adolescenza e con le turbe conseguenti a questa età di transizione, può farsi veramente carico di tutto questo?

Softie (Petite nature) è un film ingarbugliato a livello emotivo

Softie Cinematographe.it

Il film di Samuel Theis è un groviglio di emozioni disparate, che si contorcono ad una prima visione e non riescono a definirsi perfettamente nel continuo susseguirsi di eventi narrativi discordanti e dissonanti, ma che fanno riflettere e che colpiscono nonostante la loro carente incisività. Softie è un film che non si riesce a definire perfettamente, lasciando uno spaesamento percettivo che non permette di comprendere appieno qual sia effettivamente l’approccio percettivo ed emozionale al film da parte dello spettatore.

La storia è abbastanza semplice nel suo complesso, per certi versi può essere anche considerata come una storia già vista e ripetitiva: la quotidianità di un bambino alle prese con una famiglia altamente problematica e le conseguenze che questa disfunzionalità porta nel vissuto psicologico di Johnny. Ma al contempo tale approfondimento sociologico porta alla rappresentazione di un’infanzia distrutta vista da un occhio esterno alla narrazione, quello dello spettatore, che guarda Johnny da una prospettiva diversa rispetto a quella convenzionale dello psicologismo interiore del personaggio. In questo modo si crea un connubio indissolubile tra rappresentazione e rappresentato: il protagonista non esprime in modo manifesto la sua interiorità, così come la costruzione delle inquadrature non si sofferma sulla descrizione maniacale e sull’indagine visuale, ma si limita a seguire in modo naturalistico il peregrinare di Johnny durante la sua quotidianità.

Il regista vuole delegare lo spettatore a giudicare, a capire i sentimenti del bambino e a provare compassione per lui – se si scatena nel guardante un sentimento di pietà, che non necessariamente deve nascere – attraverso la presentazione fattuale delle reazioni  di Johnny di fronte le difficoltà della sua condizione sociale.

Il percorso di redenzione di Johnny

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Softie è a tutti gli effetti la storia di un bambino che si carica sulle spalle il fardello di una famiglia inesistente e inconsistente: un macigno troppo grande per lui, ma che con dignità cerca di sopportare, riscattandosi a livello personale e tentando di redimere almeno la parte buona e autentica di se stesso. Attraverso la regia di Theis, però, non è possibile decifrare in modo incontrovertibile quale sia il vissuto psicologico di Johnny, probabilmente non lo sa neanche lui: una fotografia asciutta dimostra come non sia necessario un catalizzatore introspettivo per far immaginare i moti dell’animo del ragazzo. Tutto è studiato per essere il più esterno possibile, per non sconfinare mai nella bolla personale del piccolo protagonista: una scelta che in un certo qual modo destabilizza lo spettatore, non rendendolo completamente partecipe della narrazione, ma al contempo mettendolo in una posizione di interprete del vissuto diegetico. Ciò porta ancora di più a non comprendere appieno, a livello emozionale e percettivo, quali siano l reali sensazioni visive che colpiscono lo spettatore, in un certo qual modo uno dei tasselli in grado di completare il mosaico filmico attraverso la propria interpretazione soggettiva.

Le tematiche legate poi allo sviluppo, all’adolescenza e all’omosessualità sono pregnanti nella narrazione, perché componenti essenziali proprio del vissuto del protagonista, ma peccano di un approfondimento estetico e strutturale a tratti superficiale, proprio dovuto a questa tendenza a non approfondire eccessivamente la componente introspettiva dei personaggi.

Si crea così uno squilibrio destabilizzante, dato da una parte dall’interpretazione superba del giovanissimo Aliocha Reinert, in grado di rendere con profonda pacatezza e silenzio la rappresentazione di un turbamento interiore costante che solo una volta esce fuori in modo devastante, e dall’altra da un gioco di detto e non detto che si fa carico di un intento educativo, più che narrativo.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8